«Adesso tutti dovranno venire a parlare con noi», aveva detto nel corso della notte del trionfo elettorale il cittadino Alessandro Di Battista, unico delegato a incontrare i giornalisti e commentare i primi risultati. Dopo quasi due mesi, prima ancora che il Pd celebri la sua direzione nazionale e valuti la proposta di «contratto di governo» formulata dal M5S, Luigi Di Maio lamenta il fuggi fuggi di interlocutori e ha quasi fretta di sbarrare ogni forno.

IL CAPO POLITICO coglie al balzo le parole pronunciate domenica da Matteo Renzi a Che Tempo Che fa, non vuole finire nel labirinto del dibattito interno al partito e cerca ancora una volta di individuare nell’ex segretario dem il suo antagonista. Solo pochi giorni fa, del resto, si era lasciato sfuggire la sua predilezione per l’interlocuzione con la Lega. Una possibilità praticata fino al limite fisiologico per i grillini e scontratasi con la figura ingombrante e non ancora rimossa di Silvio Berlusconi. Ecco allora che bisogna tornare quasi alle origini, mettere da parte i toni istituzionali e le pose responsabili, dissotterrare l’ascia di quella «guerra» che solo un paio di settimane fa, lanciando segnali di fumo al Pd, era stata dichiarata finita.

«Non ho mai pensato che sarebbe stato facile – spiega Di Maio – Ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato impossibile. È vergognosa la maniera in cui tutti i partiti stanno pensando ognuno al proprio orticello e ai propri interessi di parte». Da qui la proposta di ritornare al voto quanto prima. Addirittura in giugno, nonostante i tempi tecnici per sciogliere le camere e indire nuove elezioni politiche prima dell’estate non ci siano più. I vertici accarezzano l’idea di giocarsi il tutto per tutto in elezioni che assomiglierebbero a un «secondo turno» tra Di Maio e Matteo Salvini, una finalissima durante la quale, dice l’aspirante premier grillino, «i cittadini dovrebbero scegliere tra rivoluzione e restaurazione».

TUTTI I VOLTI NOTI pentastellati sentendo l’odore della battaglia e si ricompattano. Rispunta Di Battista: «Tutto il M5S ha il dovere di sostenere Luigi e la scelta di tornare al voto. Il M5S vuole cambiare questo Paese. Chiediamo agli italiani la possibilità di farlo. O noi o la Lega, il Pd non è più un partito». Il momento è tanto delicato che riprende a parlare di politica persino Beppe Grillo: «La finta sinistra e la finta destra, unite dall’istinto di sopravvivenza, hanno piazzato una legge elettorale che funziona come un colpo di stato alla rovescia: soffocare la democrazia con la democrazia», scrive il fondatore in un post nel quale i partiti ai quali il M5S aveva proposto il contratto di governo vengono definiti come «parassiti».

Eppure alcune variabili turbano la sicurezza di Di Maio e dei suoi. La prima è legata alla tenuta dei gruppi. In queste settimane gli oltre 300 deputati e senatori hanno vissuto come sospesi, in una condizione di attesa.

Hanno rispettato la regola del silenzio sancita dai vertici soprattutto perché anche loro, come tutti quelli al di fuori del cerchio magico grillino, non avevano idea di cosa sarebbe accaduto. Hanno ricevuto una sommaria garanzia di essere ricandidati in caso di repentino ritorno alle urne, in deroga alle consultazioni online e al vincolo dei due mandati. Nessuno però sa a che punto è lo scouting del centrodestra alla ricerca disperata di una maggioranza.

LA SECONDA VARIABILE è legata alla tenuta elettorale. I sondaggi danno il M5S sostanzialmente stabile, era cresciuto all’indomani del voto e ha rallentato un poco nell’incertezza delle trattative di governo. «Il voto in Friuli non è paragonabile a quello per le politiche», dicono (a ragione) i grillini. Ma lo scarso risultato ottenuto dalla lista conferma le difficoltà dei 5 Stelle sul piano amministrativo e indica che nonostante la crescita non si riesce a costruire radicamento locale. Soprattutto, cosa ancora più rilevante in caso di ritorno al voto, il Friuli è la spia accesa che segnala come nel M5S esista una questione settentrionale e permangano i limiti nel penetrare le aree presidiate dal centrodestra a trazione leghista. Non un buon auspicio per chi ambisce allo spareggio con Salvini.