Dovrebbe essere il giorno della riscossa, del Movimento 5 Stelle che reagisce a stragrande maggioranza contro l’attacco di Luigi Di Maio. Ma già in mattinata, le facce dei contiani sono scure. Circola la sensazione che la trappola sia scattata un’altra volta, che sia servita a inchiavardare ulteriormente il M5S al super-realismo draghiano e che sia stato percorso un altro tratto di strada verso la dissoluzione del nuovo corso pentastellato. Riferiscono che nel Consiglio nazionale riunitosi nella notte tra domenica e lunedì non è passata la linea che avrebbe condotto all’estromissione di Di Maio dal M5S.

A FAVORE DELL’ESPULSIONE si è schierato tra gli altri il vicepresidente Riccardo Ricciardi, che definisce Di Maio un «corpo estraneo». Hanno pesato le posizioni di chi auspica ancora la ripresa del dialogo, o comunque considera pericoloso che si arrivi alla misura estrema nei confronti dell’ex capo politico. Tra di essi l’ex ministro della giustizia Alfonso Bonafede, l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino, il capogruppo alla Camera Davide Crippa. Pesa anche la squadra di influenti sottosegretari che si è radunata col tempo attorno al ministro degli esteri: Manlio Di Stefano, Dalila Nesci, Laura Castelli. Più tardi si verrà a sapere che anche Beppe Grillo, che pure non condivide nel merito le posizioni di Di Maio, è contrario all’espulsione. Avrebbe protestato coi suoi per come hanno gestito lo scontro. «Avrebbero dovuto ignorare le sue provocazioni», è il suggerimento del fondatore. A Di Maio risponde anche Roberto Fico: «Mi chiedo perché si deve attaccare il M5S e metterlo in fibrillazione dicendo cose che non sono in discussione, come la nostra collocazione in Europa o nell’Alleanza atlantica», dice il presidente della Camera. Ma c’è anche il nodo dei regolamenti interni: al momento il M5S non è riuscito a buttare fuori neanche Vito Petrocelli, figurarsi Di Maio. La verità è che per far cadere Di Maio dalla Farnesina bisognerebbe uscire dalla maggioranza. Cosa che Conte non vuole. E se anche per assurdo si decidesse per la soluzione estrema, Di Maio resterebbe in carica grazie a una mini-scissione che terrebbe in piedi l’esecutivo.

ECCO PERCHÉ i vertici del M5S si trovano costretti a prendere atto dello slittamento del baricentro della maggioranza sulla guerra in Ucraina. Prima delle esternazioni di Di Maio, sostengono, Giuseppe Conte poteva sperare un compromesso onorevole, e a mettere nella valigia di Mario Draghi alla volta del Consiglio europeo di Bruxelles una risoluzione che parlava, seppur genericamente, delle necessità porre un freno all’escalation militare e di restituire centralità al Parlamento sulla scelte strategiche (e su eventuali nuovi invii di armi sul fronte ucraino).

DI MAIO NELLA raffigurazione dei suoi avversari nel M5S è mefistofelico e considerato abilissimo. Secondo questa narrazione sarebbe stato a lui a far circolare una vecchia bozza di risoluzione, ormai archiviata, che menzionava esplicitamente lo stop alle armi. A quel punto, il Pd sarebbe tornato a irrigidirsi e Draghi si è sentito di nuovo forte delle sue ragioni. Nel pomeriggio, tuttavia, dopo una nuova convocazione dell’organismo esecutivo del M5S di Conte circola un documento che offre più sponde ai fautori delle linea dura. Di Maio, attacca il testo approvato all’unanimità dal Consiglio nazionale, ha pronunciato parole «inveritiere e irrispettose della linea di politica estera assunta» dal M5S ,che «mai ha posto in discussione la collocazione del nostro paese nell’ambito» della Nato e dell’Unione europea. Di più: quelle dichiarazioni «sono suscettibili di gettare grave discredito sull’intera comunità politica del M5S, senza fondamento alcuno». Poi vengono menzionate le due discriminanti sulle quali stavano lavorando i pontieri con la maggioranza: i 5 Stelle chiedono «il più pieno e costante coinvolgimento del Parlamento» su nuove eventuali forniture di armi a Kiev e auspicano una «de-escalation militare». Difficile che tutto ciò produca effetti immediati, sulla posizione di Di Maio nel M5S e sulle sorti della risoluzione. Tanto più che la giornata finisce con i pontieri del M5S che trovano proprio in Di Maio l’ostacolo principale per arrivare a una mediazione sul testo finale della risoluzione.

DOMANI SERA, se ne discuterà all’assemblea congiunta dei parlamentari. Giovedì, Grillo sarà a Roma. Con lui si parlerà del tetto dei due mandati, che secondo alcuni è la vera posta in palio dello scontro di questi giorni.