La nostra Costituzione deriva dalla centralità del binomio lavoro/dignità,“dignità sociale”. Ed è su tale aggettivazione che il presidente Mattarella fonda la fascinosità, e insieme la perentorietà, dei suoi richiami a “riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni”. Metteranno drasticamente alla prova la nostra capacità di corrispondere a tali richiami i cruciali appuntamenti che ci attendono nell’anno appena iniziato, primo fra tutti la negoziazione di una riforma del “Patto di stabilità e di crescita” europeo che consenta di mantenere vivo lo slancio “rivoluzionario” embrionale del Next Generation Eu. Dovremmo trarre insegnamenti dalle ricorrenze preziose che quest’anno decisivo ci riserba.

Presto ricorrerà il sessantesimo anniversario della “Nota aggiuntiva alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese” che Ugo La Malfa, ministro del Bilancio del governo presieduto da Amintore Fanfani, presentò al Parlamento il 22 maggio 1962. Essa contiene, oltre alla denunzia delle conseguenze squilibranti dello sviluppo tumultuoso ma disordinato del dopoguerra – il “miracolo economico” con forte impronta liberistica ante litteram “non programmatoria” –, quattro suggestioni che andrebbero oggi integralmente riprese.

La prima è racchiusa nella stigmatizzazione dell’accento posto, nella fase successiva alla fine della seconda guerra mondiale, su una accelerata liberalizzazione degli scambi con l’estero e su un recupero forzato di condizioni di competitività, accento che ha spinto il sistema economico nazionale verso le esportazioni, creando un grave squilibrio tra domanda interna e domanda estera, esponendo il paese oltre misura “alle vicende della congiuntura internazionale” e spingendo l’industria manifatturiera “lungo la linea del potenziamento delle strutture esistenti … con un impiego proporzionalmente minore di capitale”.

La seconda suggestione sottolinea il legame tra la corsa spasmodica verso esportazioni caratterizzate da una competitività prevalentemente “di prezzo”, spingendo le imprese del Nord a reclamare una mano d’opera a basso costo, e gli enormi trasferimenti di popolazione e di forze di lavoro dalle regioni meridionali meno sviluppate, trasferimenti che, mentre hanno congestionato il Nord e provocato al Sud “il diffondersi di situazioni di abbandono e di regresso senza speranza e un generale deterioramento dell’assetto territoriale”, non sono stati in grado di indurre “profonde modificazioni delle strutture produttive”.

La terza suggestione riguarda la sottolineatura del fatto che l’avanzamento economico e il raggiungimento di più elevati livelli di reddito e di consumi “lasciano scoperta … un’ampia serie di bisogni” la cui importanza emerge più chiaramente se si considerano “i fini” che si pongono alla politica economica, i quali hanno carattere “qualitativo e non solo quantitativo”, il cui rigoroso apprezzamento può far considerare suscettibili di modificazione o riadattamento strutture produttive e distributive altrimenti ritenute inalterabili.

L’ultima suggestione è contenuta nell’attenzione che la Nota presta alla stimolazione incessante dei consumi individuali privati, che induce da una parte l’abnorme espansione anche dei consumi opulenti (di cui può essere considerata esempio la dilatazione sregolata dell’edilizia residenziale di lusso) e degli “investimenti speculativi o poco produttivi”, dall’altra lo stentato e limitato veicolamento di risorse verso i consumi collettivi e i beni pubblici, quali la sanità e l’istruzione, con conseguenze gravi per lo sviluppo e l’”incivilimento” dell’intero paese.

Per tutto ciò la “Nota aggiuntiva” reclamava “una nuova audace impostazione” garantita solo da “una politica di programmazione generale” a cui associare in modo decisivo i sindacati. Di lì a poco le prime grandi lotte sindacali, la Lettera a una professoressa di don Milani, l’esplosione dei movimenti studenteschi e giovanili del ’68, l’”autunno caldo” del ’69 avrebbero dimostrato quanto fosse antiveggente la denunzia – in cui sembra di poter cogliere echi adorniani e marcusiani – dei mali dell’istruzione e dell’Università, del consumismo irrazionale, della mercatizzazione esasperata, dell’abbandono delle aree sottosviluppate, della trascuratezza verso i beni pubblici. Ma l’antiveggenza vale anche per l’oggi. È difficile sopravvalutare il carattere “profetico” delle idee e del lessico della Nota: “direzione” dello sviluppo e dell’innovazione sono parole intramontabili, le distorsioni insite negli investimenti speculativi e nell’accumulo di “bolle” comprese quelle immobiliari ci minacciano ancora oggi, l’irrazionalità di un consumo drogato al solo scopo di alimentare nuove fonti di profitto è palesata dalla crisi ecologica e ambientale.

Rimane da chiedersi perché mai tale carattere “profetico” non sia colto dagli estimatori odierni – tra cui Mario Draghi – di Ugo La Malfa. Perché mai il Pnrr nazionale, che inizia esaltando la forza del miracolo economico italiano del dopoguerra, taccia la carica visionaria della “Nota aggiuntiva”.