Il 21 settembre alla Casa internazionale delle donne a Roma ricorderemo una grande figura femminile che quest’anno avrebbe compiuto cento anni: Laura Lombardo Radice. La ricorderemo nel giorno della nascita per riflettere su un pezzo importante del suo impegno civile e politico, il volontariato in carcere. Laura, insegnante, partigiana e donna di cultura, decise negli anni ‘80 di impegnarsi per il sostegno e recupero delle persone recluse, mettendo a disposizione le sue competenze educative, la sua passione civile, la sua sensibilità umana. Erano gli anni della speranza e del riscatto. Dopo la stagione delle lotte civili e del pensiero critico che aveva passato al vaglio le istituzioni totali, dal manicomio al carcere a tutti i luoghi di «contenimento e reclusione dei corpi», per dirla con Foucault, si era aperto in tutto l’occidente un grande dibattito sulle riforme necessarie ad umanizzare il carcere e sulla funzione sociale della pena. La legge Gozzini in Italia aveva aperto la strada a una svolta che tentava di minare le radici ideologiche della carcerazione rivalutando nella sua pienezza la parola recupero e rigettando la politica del rifiuto e della vendetta.
In quegli anni sono nate le associazioni che cominciarono a occuparsi di diritti dei carcerati, tra queste Ora d’aria, di cui Laura fu tra i protagonisti, che per prima promosse circoli culturali dentro i penitenziari. In quasi tutte le carceri italiane agivano gruppi di volontari che organizzavano compagnie teatrali, attività sportive, recupero scolastico, formazione lavoro. Si era accesa la speranza che anche chi aveva sbagliato potesse avere una nuova opportunità. Furono emanate leggi che prevedevano il reinserimento sociale con canali preferenziali per gli ex detenuti, mentre la società cominciava a cambiare radicalmente, tanto da rovesciare in pochi anni il paradigma della decarcerizzazione. La tendenza a ridurre la carcerazione prevedendo pene alternative e la depenalizzazione dei reati minori venne interrotta dalla nuova destra che aveva cominciato a rielaborare i vecchi luoghi comuni sulla devianza in una veste nuova che andava sotto il nome di sicurezza. Per nessun altro termine la manomissione delle parole è stata così violenta e sfacciata. La sicurezza sociale e anche quella civile erano stati bandiere dei ceti popolari che lottavano per il lavoro, l’istruzione e la sanità pubblica, i servizi sociali. Quando la sicurezza è stata rovesciata in ricerca spietata di un nemico, sia esso tossicodipendente, delinquente o immigrato, le porte del carcere si sono spalancate a nuove figure sociali che si pensava di recuperare con ben altri strumenti. Così le persone come Laura sono state messe un po’ in disparte, hanno visto arretrare le piccole conquiste che avevano prefigurato un carcere più umano e una pena più civile. Siamo arrivati al sovraffollamento disumano, ai suicidi a catena, alle sofferenze di una condizione che annulla la speranza di un riscatto. Contro questo accanimento ideologico vale la pena ricordare figure straordinarie come Laura, che con determinazione è passata dai banchi della scuola a quelli del carcere pensando che l’educazione e la cultura sono le risorse necessarie per provare a restituire un futuro a chi nella vita ha sbagliato.

* Arci Solidarietà Onlus