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Hunger Games versione Gaza

Palestinesi in fuga da Khan Younis, nel sud di GazaPalestinesi in fuga da Khan Younis, nel sud di Gaza – Ap/Fatima Shbairap

Palestina/Israele Sembra la trama di un romanzo distopico: una popolazione disumanizzata dal potere centrale, sottoposta alla fame, alla sete, al paralizzante terrore di morire e alla punizione collettiva per il solo fatto di essere ancora viva. Il gioco non prevede vittoria: la lotta per la sopravvivenza non è di sé, per sé, ma è la sopravvivenza politica altrui, di Netanyahu, del colonialismo di insediamento, di un Occidente che assiste al massacro da spettatore morboso

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 10 dicembre 2023

Volantini con citazioni del Corano cadono sulla Striscia di Gaza dagli stessi aerei che sganciano un volume di bombe mai sperimentato in un’offensiva moderna. Il comando generale dell’esercito invita a consultare i siti delle istituzioni israeliane per informazioni più accurate.

Mappe della Striscia suddivisa in minuscoli quadratini, frecce rosse e aree con colori diversi (quelle off limits, quelle forse sì, quelle forse no) indirizzano verso le zone considerabili rifugi sicuri. Spoiler: non lo sono, nessuno lo è.

DA DUE MESI Tel Aviv ha aggiornato la sua burocrazia militare al livello «crudeltà», inaccessibile, incomprensibile e vana. A 2,2 milioni di palestinesi – 1,9 sfollati – dice con cadenza quasi giornaliera dove dovrebbero fuggire in un territorio martoriato, privato ormai di infrastrutture civili e strade percorribili, alla ricerca di sopravvivenza.

Alla ricerca di cibo e acqua, così scarsi che la competizione per assicurarsene un goccio è già iniziata. Spostatevi a Deir al-Balah, spostatevi a Rafah, a Khan Younis, di nuovo a Rafah. Chi riesce a giungere a destinazione non trova «premi», né rifugio, né acqua, né cibo.

Sembra la trama di un romanzo distopico o di una serie tv. Gaza come Hunger Games: una popolazione disumanizzata dal potere centrale, sottoposta alla fame, alla sete, al paralizzante terrore di morire e alla punizione collettiva per il solo fatto di essere ancora viva. Il gioco non prevede vittoria: la disperata lotta per la sopravvivenza non è di sé, per sé, ma è per la sopravvivenza politica altrui, del governo Netanyahu, di un colonialismo di insediamento senza soluzione di continuità, di un Occidente fuori dalla storia che assiste al massacro da spettatore morboso.

STATI UNITI ed Europa ripetono ossessivamente quel mantra della «sicurezza» che è illogico quanto le mappe incomprensibili che – non si sa come, visto i limiti alla rete internet – i palestinesi dovrebbero studiarsi sul sito del ministero della Difesa per spostarsi nella prossima casella. Nell’attesa agghiacciante della morte, nell’illusione di sfuggirle ma con la consapevolezza che è lì, a ogni angolo, per chiunque, sotto forma di bomba, di malattia, di sete, di fame. Perché il gioco è così: chissà chi vive, chissà chi muore.

Dopotutto l’autrice di Hunger Games, Suzanne Collins, ha detto di aver immaginato quella storia dopo aver seguito in tv l’invasione Usa dell’Iraq. La realtà non supera mai la fantasia.

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