«Non credo più alla carriera, al denaro, al potere, per chiamare le cose in questo modo. Giacché basta prendere il giornale per vedere dove ci abbia condotti il potere. Il potere, la potenza – ovunque ha portato questo terribile spargimento di sangue. Ora credo ardentemente solo all’im-potenza, a ciò che è piccolo, oppresso».
Questo scrive Hugo Ball (1886-1927) alla sorella nel 1916, nei giorni dolorosi della Grande guerra, rivelando la propria vocazione a una profonda dissidenza che fa di lui un caso unico nel pur vario panorama del pacifismo europeo di inizio secolo. Ball rappresenta in effetti una figura atipica e fondamentale nell’arte d’avanguardia del Novecento; ed essendo difficilmente riconducibile entro schemi definiti, si presta a disparate interpretazioni. Lettore di Nietzsche e Bakunin, amico di Kandinskij, Hesse, Schmitt e Bloch, la sua attività si sviluppa tra letteratura e teatro, filosofia e mistica, indigenza materiale e splendore spirituale.
All’intricato percorso di Ball, lo studioso Gabriele Guerra dedica un breve ed erudito saggio dal titolo L’acrobata d’avanguardia Hugo Ball tra dada e mistica (Quodlibet, pp. 144, euro 16,00). L’autore si richiama a Sloterdijk per segnalare come Ball personifichi «il modello di una vita vera, proprio perché essa scorre sul filo di una pratica artistica sempre acrobatica, sempre cioè in cammino verso una radicale e azzardata verticalità». In lingua tedesca, infatti, l’Artist non è il Künstler ma l’artista da circo, il funambolo, l’equilibrista: «l’esistenza acrobatica toglie banalità alla vita, ponendo la ripetizione al servizio dell’irripetibile».
Guerra non è interessato a redigere un’esaustiva ricognizione biografica e intende piuttosto approfondire alcuni nodi concettuali, per evidenziare la coerente evoluzione umana e intellettuale di Ball, dall’esperienza dada fino all’estremismo mistico del periodo di Cristianesimo bizantino (1923). In altre parole, il saggio è la descrizione di un’ascesa e di un’ascesi, di un lungo esercizio di raffinamento corporeo e spirituale, del quale vengono messe in risalto le continuità in luogo delle apparenti discontinuità.
In Ball si sovrappongono una serie di temi, in cui si intrecciano sempre arte, politica e religione, che ritornano di continuo in configurazioni mutevoli ma comunque connesse tra loro dal denominatore comune di un animo critico. Ball viene di solito inserito nel novero degli artisti anziché in quello dei pensatori politici o religiosi; tuttavia, l’ambizione di Guerra è dimostrare come la migliore chiave per accedere all’universo di Ball sia la sua attitudine al rifiuto di ogni costrizione psicologica e politica, verso la ricerca di un’autentica «forma di vita» mediante il recupero della dimensione trascendentale. «Il dispositivo messo in opera qui da Ball non è riassumibile né come una “semplice” negazione in senso anarchico di qualsiasi idea statuale, né come un tentativo neocattolico di ricostituire la civitas celeste sulla terra. Esso piuttosto si situa tra queste due direttrici politico-culturali, alla ricerca di una “terza via” mistico-anarchica, in cui l’intelligencija alternativa al complesso teologico-politico dominante, partendo da un sostrato concettuale ed ideale romantico, sviluppa una linea politica piuttosto precisa».
È noto che Ball è stato promotore delle serate dada in un locale nella malfamata Spiegelgasse a Zurigo. Sul palcoscenico del Cabaret Voltaire si alternavano canti, balli, rumori, poesie senza senso e assurde pièce teatrali. Per Ball questi spettacoli sono stati non solo un esperimento artistico finalizzato a provocare il pubblico borghese, ma soprattutto un «laboratorio del Moderno», ossia un mezzo tramite cui ha tentato di schiudere ambiti negletti dell’interiorità: il rapporto tra corpo e poesia, tra suono e parola, tra immediata presenza dell’uomo nel mondo e sua dimensione metafisica. «La provocazione sta tutta dentro l’azzardata sintesi proposta dal Ball vescovo mago, tra performance dada e trance estetico-ascetica, tra pratica d’avanguardia e sacralità liturgica». Per inciso, Guerra ha il merito di rimarcare l’importanza di Emmy Hennings, artista e compagna di Ball, nel concepimento di questo tipo di performance rituale.
Nel 1916 Ball visita per la prima volta Monte Verità, l’eterogenea aggregazione di individui accomunati da aspirazioni utopiste, vegetariane e teosofiche residente su una collina nei pressi di Ascona, nel Canton Ticino; ma resta deluso dalla «quantità di idioti naturisti che se ne vanno in giro in sandali e tunica romana». Vi torna un anno più tardi, quando l’esperienza del Cabaret Voltaire è per lui sostanzialmente conclusa, e si inaugura allora un’altra fase della sua irrequieta traiettoria. La forma di vita comunitaria che contraddistingue Monte Verità adesso gli svela la vacuità della sua epoca borghese e capitalistica, e al contempo lega il corpo e lo spirito in un significato inedito, dando luogo a una «nuova tecnica antropologica», che lungi dall’essere antimoderna è «ipermoderna». L’uomo nuovo si costituisce a partire da un’unione sociale ed esistenziale basata proprio su questo carattere ipermoderno.
Si aprono così per Ball orizzonti di indagine che lo portano a esplorare la psicanalisi e la teologia. Nel 1923 pubblica Cristianesimo bizantino, un libro sui santi dei primi secoli del cristianesimo, i cui capitoli compongono una sorta di ideale trittico, con Dionigi l’Areopagita affiancato da due santi «funamboli»: Giovanni Climaco e Simeone Stilita. Contro ogni lettura superficiale, Guerra osserva come, anziché essere la testimonianza di una evasione, l’opera sia densamente intrisa di inequivocabili implicazioni politiche. In quanto mediatori esemplari tra la sfera trascendente e quella immanente, i monaci e i santi delle origini appaiono quali campioni di una «teologia politica della fine», non della sovranità. E sebbene l’aggettivo «bizantino» sia capzioso e fuorviante, manifesta però il desiderio di Ball di un rinnovamento morale e culturale del cattolicesimo, lo sforzo di individuare un orientamento nella sua epoca che congiunga edificazione spirituale e nuovi lineamenti comunitari. Una vera ascesi monastica nel bel mezzo del Moderno. «Superare se stessi in candore e ingenuità: questa è ancora la miglior difesa».