Appena defunto, AEH (Alfred Edward Housman) è traghettato da Caronte lungo lo Stige fino all’Ade, che è anche un buon posto per un picnic sul Tamigi, a Oxford. Il trattamento è riservato all’eminente latinista del Trinity College di Cambridge, vissuto dal 1859 al 1936, «The Latin scholar of his generation» – a eccezione del principe dei filologi Wilamowitz – secondo Auden che su di lui scrisse un bellissimo sonetto. Siamo a teatro in una commedia di Tom Stoppard che ama lo scivolamento tra comico e patetico, indefinito e aneddoto, il confronto tra il vociferante Wilde e l’impettito accademico. Qualche spettatore conosce il professore, le sue poesie sono ancora amate: la pastorale inglese mescolata alla vena cimiteriale può commuovere un pubblico postmoderno.
AEH aveva applicato il suo genio di filologo all’edizione in cinque libri di Manilio, oscuro poeta astronomico – un lavoro che durò quasi trenta anni. Si distinse anche per la ferocia e l’acutezza delle sue correzioni ai lavori altrui. «Exquisite divinatory intelligence» il commento ammirato di Kermode. Edmund Wilson denunciò la sua perversa umiltà, la monastica mortificazione comune a certi asceti oxoniensi, la cruda arroganza dei suoi attacchi, la vita senza sesso che non fosse attraverso lo specchio dell’arte, come Alice, Mario l’Epicureo, il suo anonimo ragazzo dello Shropshire… Bianca Tarozzi ci ha dato la bella e coinvolgente traduzione di A Shropshire Lad (Un ragazzo dello Shropshire, Le Letttere 2005), la raccolta di poesie pubblicata nel 1896, subito popolari e messe in musica, nella tradizione lirica inglese: le canzoni di Shakespeare, le ballate scozzesi, Heine… sul tema romantico del ragazzo e la morte, l’amore proibito, la guerra, le rare epifanie. Nella prefazione scrive: «è l’amore tra compagni, amicizia e morte tematicamente intrecciati; il tema marziale si impone per la parallela importanza di quello dell’amicizia». In pieno modernismo AEH osò definire la poesia una secrezione, naturale come la resina dalle conifere, o una secrezione morbida, come la perla nell’ostrica (The Name and the Nature of Poetry, 1933). Intendeva forse alludere a una sorgente sacra, all’ambrosia divina, alle lacrime delle cose e degli uomini … ma odiava le metafore far-fetched che non fossero naturalmente scaturite dalla natura.
Nel 1996 Tom Stoppard lesse la seconda raccolta Last Poems, pubblicata postuma. «Ho scoperto la sua vita così strana, insieme arrabbiata e piena di spirito, molto arida, piena di lacrime non versate». Decise di fare di AEH il protagonista di una sua affollatissima commedia che si svolge sull’acqua, tra due fiumi, lo Stige e il Tamigi, due tempi, passato e presente; in mezzo un lembo di terra, una panchina per i meno giovani e autorevoli professori – la sua prima commedia del 1963 si intitolava già A Walk in Water. Con un titolo omaggio a Harold Bloom, L’invenzione dell’amore andò in scena nel 1997. Sellerio ripubblica ora il testo a cura di Rita Cirio, traduzione e importante nota di Lodovico Terzi («La memoria», pp. 185, € 14,00). Cirio firma la nota introduttiva e una umorale «Conversazione con Tom Stoppard». Alle incalzanti domande sul suo impegno politico, se c’è, di destra o di sinistra? il regista dichiara: «Non ho alcuna ideologia sul teatro io, per me il teatro è ‘La zia di Carlo’ e Sofocle, Feydeau e Sofocle». L’impegno con il teatro è come l’impegno con la vita, non c’è se non inconsciamente, è totale e si confonde con quella, con la memoria sotterranea dell’infanzia forse, e quando va bene traccia nuove mappe drammaturgiche, come dimostrò nel suo capolavoro Rosencrantz and Guildenstern are Dead (1967). Non più Amleto al centro del dramma , ma due personaggi periferici, Ros e Guil, esposti sotto la luce violenta del centro per la prima e ultima volta, ignari di se stessi e della propria sorte, del finale di partita che stanno giocando, la propria condanna a morte. Shakespeare li aveva emarginati dall’azione, non diversamente da Amleto che li aveva cancellati con un tratto di penna. Fu un successo del trentenne immigrato cecoslovacco, bellissimo e zingaresco nelle foto di allora. Ancora nel 2008 confidava a un intervistatore di trovarsi spesso a disagio: «Scopro di aver messo un piede in fallo – può essere la pronuncia, un arcano ricordo di storia inglese – e all’improvviso sto lì nudo come uno che abbia solo un permesso provvisorio…».
Infatti Tomas Straussler era nato a Zlin (Cecoslovacchia) in una famiglia ebrea. Nel 1939 appena prima dell’occupazione tedesca, gli Straussler insieme ad altre famiglie ebree ripararono a Singapore. Il padre morì nel ’42, la vedova con i due figli fu evacuata a Darjeeling sotto l’Himalaya, dove i due ragazzi frequentarono una scuola americana, multietnica. Tomas divenne Tom e Petr fu Peter per sempre dopo il matrimonio della madre con il maggiore Kenneth Stoppard nel ’46. Finalmente erano arrivati in Inghilterra, e a Bristol Tom iniziò la carriera di giornalista e critico filmico e teatrale. Ho indossato l’inglesità , disse, come un cappotto. Ancora qualche anno e troverà il suo approdo all’Old Vic di Londra. Non c’era mai stato un vero padre con cui misurarsi, né un centro in cui posare definitivamente, né un teatro neo-aristotelico da cui scantonare. Il suo teatro ignora la scatola pinteriana, chiusa in se stessa, e invece ama gli spazi, grandi e luminosi dell’infanzia, insegue le rotte percorse, ridisegna colori e forme di quei tempi eccezionali.
Che cosa succede allo sconcertato professore AEH, appena sbarcato nell’aldilà? Uno sciacquio di remi e compaiono con l’immancabile cane tre uomini in barca, tre studenti Housman, Pollard, Jackson. Dove precisamente? Sul Tamigi, all’altezza della diga di Iffley, al tempo in cui Jerome K. Jerome scrisse il romanzo eponimo. (Stoppard ne aveva fatto un adattamento radiofonico). Secondo la tradizione comica vittoriana è in scena la Oxford del 1830: deliziosa allora, non lo squallido ammasso di edifici, la «vile gonna di mattoni» come la chiamò Hopkins .Tra i professori che giocano distrattamente a croquet su quella sponda fiorita mancano gli incendiari Hopkins, Newman, Arnold. Ma Pater, Jowett, Ruskin, Pattison discutono di università, eredità classica, sodomia («la Checca di Balliol»), Grecia, Rinascimento italiano – per errore detto la «Tumescenza italiana». Volano attacchi personali, citazioni dai classici, definizioni controverse, pettegolezzi… AEH vede l’aitante Moses Jackson, il suo grande amore, un ottimo atleta somigliante a quel Ligurino che bello e scattante correva a Campo Marzio. Dalla Grecia una linea di bellezza ha attraversato i secoli. Un giovane Housman o Haus o Hus, ventitré anni, petulante, che ha in mano un Properzio, attacca discorso con AEH sull’importanza di una virgola in filologia. «Il sentimento poetico è un pericolo per il rigore scientifico», «L’entusiasmo letterario non ha mai fatto uno studioso, e ne ha disfatti molti. Il gusto non è conoscenza», «La critica testuale è il coronamento e il culmine della ricerca scientifica». A Cheronea il Battaglione Sacro degli amanti è sepolto, «infilzati come sardine». «Ma sì, getta la tua vita per il tuo compagno stendila ai suoi piedi come uno stuoino».
Arriva Wilde con i suoi amici, «Non ameremmo nessuno, se potessimo vedere al di là della nostra invenzione … L’invenzione è uno specchio in cui l’amore ha scoperto se stesso … Ho risvegliato l’immaginazione del secolo. Ho sbattuto le teste di Ruskin e di Pater l’una contro l’altra…». Continua a declamare finché viene un barcaiolo a portarlo via. AEH è confuso, forse non è morto … Gli appare la scena iniziale (ma era accaduta in un giorno d’estate di un anno indefinito): tre ragazzi in barca con il cane … il suo Moses , «Jackson Che ne sarà di te, Hous? Housman Quando tu sei gentile io passo la giornata come un dio…». Il vecchio AEH se ne torna a letto, Tendebantque manus ripae ulterioris amore (E tendevano le mani per il desiderio dell’altra riva).