«Distillare è bello. Prima di tutto, perché è un mestiere lento, filosofico e silenzioso, che ti occupa ma ti lascia tempo di pensare ad altro (…). Poi, perché comporta una metamorfosi: da liquido a vapore (invisibile), e da questo nuovamente a liquido; ma in questo doppio cammino (…) si raggiunge la purezza (…). E finalmente, quando ti accingi a distillare, acquisti la consapevolezza di ripetere un rito ormai consacrato dai secoli, quasi un atto religioso, in cui da una materia imperfetta ottieni l’essenza, l’‘usìa’, lo spirito». Questa pagina di Primo Levi (da Potassio, in Il sistema periodico, 1975) è un adeguato invito a ricordare un grande studioso di poesia antica, Nicholas Horsfall, scomparso il primo giorno del 2019. Quel che dice Levi sul chimico è molto prossimo a quanto Horsfall ha scritto sopra il ‘modo di lavorare’ di Virgilio, il poeta da lui più in profondità indagato. Alla distillazione si richiamano titolo e copertina dell’ultimo libro di Horsfall, il bilancio definitivo delle sue ricerche: The Epic Distilled. Studies in the Composition of the Aeneid (2016). Ma è chiaro che «lento, filosofico e silenzioso», oltre al mestiere del poeta antico, è quello del filologo.
Nato nel 1946, Horsfall studiò tra Cambridge e Oxford. Dei suoi anni di formazione parla spesso nei suoi lavori, fornendo notizie su di sé: gusti, passioni, rigetti, incontri, esplorazioni (nei luoghi «virgiliani» d’Italia). Dopo aver insegnato a Londra, visse per alcuni anni in Italia (dove non ebbe una cattedra), quindi tornò in Gran Bretagna, riservandosi ogni anno un iter Italicum autunnale. Trasferitosi poi in Scozia, di là proseguì le sue monumentali ricerche virgiliane. Tra il 2000 e il 2013 uscirono i suoi commenti a singoli libri dell’Eneide (7, 11, 3, 2, 6, nell’ordine). Li precedettero numerosi saggi, che tracciavano le linee di metodo e riprendevano problemi critici anche annosi (le «fonti» di Virgilio), affrontati con piglio pragmatico, originale e spesso polemico, e con risultati spesso divergenti dalla communis opinio.
Pubblicò parecchi lavori anche in italiano, con notevole gusto e cura per l’espressione nella nostra lingua (di qui l’efficacia brillante anche delle sue conferenze). Oltre alle voci per l’Enciclopedia Virgiliana (1984-’91), su temi come gli anacronismi, la leggenda di Enea o Varrone, importante fu un saggio su Camilla o i limiti dell’invenzione (’88). Il lavoro preparatorio trovò una sintesi in Virgilio. L’epopea in alambicco (1991): libro originale fin dal titolo e di gradevole lettura, che gettava anche le basi di un lavoro futuro. Raccolse in genere giudizi positivi, ma era forse un lavoro troppo discosto dalle tendenze (o le mode) del presente: Horsfall era e restò infatti istintivamente avverso ai «dogmagogues» e ai «jargonauts» che occupano anche negli studi antichi un certo spazio. La metafora dell’alambicco introduceva il lettore alla complessa ma remunerativa fatica imposta dal testo virgiliano: per capirlo serve soprattutto appropriarsi della ricca erudizione (mitografica, antiquaria, geografica), che è alla base di un poema, l’Eneide, sorto per «distillazione» di elementi di varia provenienza.
Libero da ogni idealizzazione professorale, Horsfall lavorava armato di una straordinaria cultura, e sulla linea tracciata dal libro su Virgilio di Heinze (1903): ma non mancava mai di rifarsi al common sense che viene dall’esperienza e dalla pratica di vita. Come nei commentatori antichi, spesso citati, muoveva da questioni anche di dettaglio: un albero, un oggetto, un animale, un toponimo, un etnico, un nome. Gli premeva distinguere i casi in cui Virgilio dispiegava reale competenza, da quelli in cui combinava elementi libreschi, con abile bricolage erudito (come nel caso della Sibilla cumana). L’analisi puntava a mostrare il gioco ora di finezze erudite, ora invece di libertà ricreativa, e anche di invenzione, con particolari «verosimili», magari accompagnati nel testo da discreti «segnali» al lettore. Il tono «epico» del poema si forma così, sia nelle parti più vicine ai modelli greci, sia anche alla sezione italica (la preferita di Horsfall): qui il «colore» però doveva essere diverso, e dopo tanti troiani e cartaginesi e rutuli e etruschi doveva apparire, finalmente, «romano». Per questa via si ritrovava, in qualche modo, anche l’elemento politico del poema: Horsfall rifuggiva da parole come «messaggio» o «propaganda». Un vasto campione degli strumenti prediletti per l’analisi, le tecniche poetiche, le strutture intellettuali e i metodi di composizione del poeta, fu messo insieme nel Companion to the Study of Virgil (1995, con una seconda edizione nel 2000). Un libro a più mani ma (a)tipicamente composto in larga misura da contributi di Horsfall medesimo, nel quale si trova una presentazione ricca delle opere e dei problemi, ma anche una sezione su «Stile, lingua e metrica». Un soggetto programmaticamente inattuale in un tempo di classici (già) tradotti: ma Horsfall rivendicava che non era un soggetto «moribund», e che anzi c’era molto ancora da fare, perché molto era stato trascurato (per esempio, le frequenti «anomalie» virgiliane rispetto alle regole della lingua poetica latina).
Nei commenti, che di questi studi erano naturale sviluppo e applicazione, la dottrina di Horsfall cercava di dipanare la sapientissima e mai prevedibile tecnica del poeta attraverso una documentazione ricca, frutto di un lavoro attentissimo e paziente (molti dizionari e concordanze, moltissime letture, e non tutte prevedibili) non diretto a risolvere ogni difficoltà: Virgilio scriveva in modo tale da essere compreso a livelli differenti, ma amava anche l’ambiguità. Inevitabilmente, qualche punto restava non chiarito, e comunque era evidente che «more work is to be done». Questo lavoro, Horsfall lo portò avanti per anni (circa cinquanta). E anche dopo la pubblicazione dei commenti, riprese i materiali presentati nell’Alambicco (1991), per riscrivere il libro alla luce dell’ulteriore esperienza concreta di lettura e studio: ne derivò appunto The Epic distilled (2016). E considerato quanto è produttivo consultare i suoi cinque commenti, rattrista sapere che non sarà mai compiuto quello, annunciato, al Primo Libro dell’Eneide. Sono strumenti assai personali: non per la loro struttura (ampia introduzione, testo rivisto, traduzione, commento ampio e analitico, su fatti di lingua e stile, Realien e i dettagli, tradizioni seguite o ignorate dal poeta, con rassegna della ricerca moderna), quanto per il tono, per le digressioni, le idiosincrasie, i giudizi sui risultati raggiunti da Virgilio in questo o quel passo, le valutazioni sul lavoro di altri studiosi e sul proprio (segnalando cambiamenti o meno di idee, accolte o contestate da altri). L’esame della bibliografia moderna comporta un fermo giudizio sulla qualità scientifica: del resto, Horsfall era un recensore acuto, talora assai severo.
Diversi critici, non sempre solidali, talvolta frettolosi, hanno rimarcato la sua tendenza all’autocitazione (segno invece del suo lavoro coerente) e criticato certo modo criptico o idiosincratico di citare libri e saggi. In effetti, Horsfall costringeva deliberatamente il lettore impa-ziente alla lentezza dell’analisi (ossia, per usare una sua metafora applicata alla lettura di Virgilio, a sfogliare con calma il carciofo dall’esterno fino al cuore). Il lettore vi deve entrare, come in un universo (filologico) molto personale, quasi una casa, marcata dai gusti del padrone, ospitale e esigente allo stesso livello.
Diffidente verso le supposte contraddizioni tra le differenti «voci» virgiliane, indefessamente indagate da altre correnti della critica, Horsfall ripensava secondo proprie regole le radici della poesia virgiliana, letta secondo la prospettiva del «lettore colto»: un «lettore ideale», contemporaneo dell’autore, primo destinatario delle sue sfide, dei suoi ammiccamenti, delle sue allusioni. Un lettore colto, all’altezza di un testo poliedrico, non solo erudito. Un lettore di cui Horsfall cercava di ricostruire gli orizzonti culturali, ma senza ricorrere a anacronismi critici, servendosi invece di tutti gli strumenti eruditi necessari oggi per ricreare una biblioteca «mentale» che in larga parte oggi sfugge.
Paziente nella ricerca del dettaglio, attento alla verosimiglianza delle ipotesi, Horsfall si avvicinava con immaginazione e filologia anche alla «realtà» del mondo antico. Per esempio, il suo interesse personale per il mondo militare (retaggio anche familiare) lo spinse a ragionare sull’esercito romano come luogo di acculturazione (1999). I veterani erano portatori di un’esperienza che oggi è difficile da cogliere, e che non era fatta solo di gergo castrense: lo si capisce bene guardando certe orgogliose stele funerarie d’età imperiale, in area renana o altrove. L’interesse per la cultura popolare portò Horsfall anche a studiare l’alfabetizzazione a Roma, e a tracciare una sintesi, rigorosa e simpaticamente originale, sulla Cultura della plebe romana (1996, libro poi riscritto, in inglese, nel 2003). Compì anche a fruttuose incursioni non virgiliane (Cornelio Nepote, Orazio). Il suo interesse per la storia degli studi era notevolissimo: di qui gli acuti ritratti dedicati, per esempio, a Eduard Fraenkel, Otto Skutsch e, in termini differenti, a Eduard Norden. Tutto questo richiama quanto fosse largo il suo orizzonte sugli antichi, studiati con gli strumenti della filologia (quanto greco nei suoi commenti, e quanta storia, quanta religione…) ma anche con l’intelligenza di chi sa guardare il mondo e la natura, e godere i piaceri della vita: sarà ricordato infatti, oltre che come studioso autorevolissimo, come generoso cultore dell’amicizia, che con pazienza era pronto a condividere la propria scienza. Experto credite.