Chi ha letto le dichiarazioni del sassofonista Kamasi Washington, nuova stella del jazz mondial e che ha scritto la colonna sonora del documentario Becoming su Michelle Obama, nelle quali esprimeva la sua ammirazione per Horace Tapscott, si sarà chiesto chi è questo pianista, compositore e bandleader. «Mio padre mi portava ad ascoltare la Pan Afrikan Peoples Arkestra al Leimert Park. Dopo la scomparsa di Tapscott ho anche suonato nella formazione. Tutti noi abbiamo imparato la sua musica e il suo pensiero dai musicisti più vecchi. Tapscott è stato una delle figure più importanti della musica a Los Angeles».

L’OCCASIONE PER RITORNARE su questo musicista ci è offerta dalla pubblicazione di Ancestral Echoes, un disco di inediti distribuito dalla etichetta parigina Dark Tree che di Tapscott aveva già rilasciato nel 2019 il magnifico Why Don’t You Listen? Registrato nel 1976 tra mille difficoltà, tra le quali un principio di incendio nei locali adiacenti allo studio, l’album si apre con il poema omonimo declamato dal poeta Kamau Daaood. Un testo che celebra i «costruttori di civiltà, scultori di piramidi, inventori di scienze» dalla forte pregnanza africanista e identitaria nel quale si coglie lo spirito comunitario, il legame con le radici storiche, l’affermazione di una dignità negata che costituiscono la piattaforma politica e filosofica dell’intero percorso intellettuale e artistico del musicista afroamericano.
Nato nel 1934 a Houston, in Texas, Tapscott cresce a Los Angeles dall’età di nove anni, dove la famiglia si era trasferita per seguire il patrigno impiegato nell’industria bellica. Al tempo la città californiana vive il suo periodo d’oro del jazz. Central Avenue è il cuore pulsante di locali dove suonano i migliori solisti e le band più apprezzate. Il futuro musicista studia alla Lafayette Junior High School con Percy McDavid, un illuminato insegnante che forma i suoi allievi sui fondamentali e li incoraggia a scrivere musica propria. Successivamente studia alla Jefferson High School con Samuel Browne, altra esperienza formativa decisiva per acquisire quella disciplina, conoscenza delle tradizioni, coraggio nel percorrere strade nuove che caratterizzeranno tutto il suo percorso artistico. Tapscott suona il trombone, che poi abbandonerà per il pianoforte, e comincia la sua attività professionale con formazioni locali e poi con l’orchestra del vibrafonista Lionel Hampton. Nel 1961 fonda la Pan Afrikan Peoples Arkestra. Nel 1968 compone, arrangia e conduce Sonny’s Dream (Birth of the New Cool) con la Prestige e nel 1969 The Giant Is Awakened per l’etichetta Flying Dutchman.

I DUE DISCHI FANNO conoscere un artista assolutamente originale, un sound vitale, sorprendente, entusiasmante. Potrebbe essere l’occasione per il successo. Ma Tapscott non accetta che i musicisti vengano imposti dalla casa discografica, come nel primo caso, o di essere escluso dal missaggio, come nel secondo. Come scriverà Kamau Daaood nella poesia «PAPA, The Lean Griot» a lui dedicata: «Io sono Horace Tapscott/e non sono in vendita». Sono i furenti Sessanta e Settanta; anni di consapevolezza, attivismo, sperimentazioni esistenziali e collettive. Gli afroamericani cercano le proprie radici africane nelle civiltà egizie, aderiscono all’Islam cambiandosi nome e abbigliamento, si impegnano in partiti e organizzazioni, esplodono in rivolte che mettono a ferro e fuoco le città.

A MOLTI IL NAZIONALISMO nero sembra l’unica alternativa ad una società che risponde alle domande di giustizia con un diluvio di sangue: pestaggi, bombe, omicidi. Tapscott attraversa quegli anni con la determinazione, l’integrità e la lucidità di un vero leader culturale. La Pan Afrikan Peoples Arkestra, comunemente chiamata Ark, si esibisce nei parchi, nelle chiese, nelle moschee, nelle scuole, nelle prigioni, nei centri culturali. Suona per le Pantere Nere e per i Democratici, per i socialisti rivoluzionari e per la SNCC. Offre ai giovani un’alternativa alla strada, alla droga e al carcere. Tapscott crea un luogo dove convivono giovani e anziani, la tradizione del jazz e il free jazz, la musica e la poesia, il teatro, le arti marziali. Nei giorni della rivolta di Watts, porta l’Ark nelle strade per combattere la violenza con il potere della musica. La stessa cosa farà dopo quella del 1992 scatenata dall’assoluzione dei poliziotti autori del pestaggio di Rodney King.
Resisterà alle provocazione della polizia, che sorveglia le sue prove e i suoi concerti e farà anche più di un incursione intimidatoria. Arrangia e produce il disco Seize The Time di Elaine Brown, prodotto su richiesta del Black Panther Party, ma preserva l’autonomia della sua organizzazione artistica dal loro settarismo. Tutta la sua azione è indirizzata a convogliare positivamente le energie che prorompono dalla società e a fornire alla sua comunità unità e solidarietà. Ha insegnato con la sua pratica quotidiana che esiste una alternativa alla competizione forsennata, al mito del successo e all’individualismo egoistico. In quaranta anni di attività, fino a quando un tumore se l’è portato via nel 1999, nella sua orchestra sono passati più di trecento musicisti.

MOLTI DI ESSI sono diventati celebrati jazzisti come David Murray, Arthur Blythe, Butch Morris. Per questa coerenza ha pagato il prezzo di anni di precarietà economica e di un tardivo e ancora inadeguato riconoscimento. La sua discografia è disseminata in incisioni per etichette minori e spesso introvabili. Una parte consistente è nel catalogo della piccola Nimbus West Records, che ha pubblicato alcuni lavori della Pan Afrikan Peoples Arkestra e undici volumi di piano solo. Il disco più rappresentativo della sua estetica spigolosa, scura e intrisa di blues, per la quale può essere affiancato a pianisti come Mal Waldron, Randy Weston e Andrew Hill, è il doppio The Dark Tree (Hat Hut) in quartetto con il clarinettista John Carter, come lui californiano, geniale e misconosciuto.