Dall’insediamento di Juan Orlando Hernández alla presidenza dell’Honduras nel gennaio del 2018 – dopo le imponenti proteste della popolazione contro i brogli elettorali che avevano scippato la vittoria alle forze progressiste – una cosa era risultata chiara: a Joh, come è chiamato il presidente illegittimo, non sarebbe stato per nulla facile governare su un popolo che non lo aveva voluto. A dare il via alle nuove proteste contro il governo, al grido di “Fuera Joh”, erano stati, già ad aprile, medici e insegnanti, mobilitati contro due decreti destinati a operare una massiccia privatizzazione dei servizi sanitari ed educativi.

Ma neppure la deroga dei provvedimenti all’inizio di giugno ha posto fine alle proteste, di fronte alle troppo vaghe promesse governative. Al contrario, alla mobilitazione contro Joh si sono aggiunti prima i camionisti e poi un settore della polizia nazionale, provocando il caos in tutto il Paese. «Molti dei problemi esistenti – ha dichiarato l’ex presidente dell’Associazione degli industriali Adolfo Facussé – dipendono dal fatto che il governo promette e poi non mantiene, cosicché nessuno si fida più».

E se il settore del trasporto pesante ha poi raggiunto – per ora – un accordo con il governo, garantendo di nuovo il rifornimento di benzina, il popolo honduregno sembra deciso a non cedere, esigendo la rinuncia del presidente usurpatore. E così anche molti agenti delle forze speciali della polizia nazionale, come i Cobra, scesi in strada per rivendicare migliori condizioni di lavoro e aumenti salariali, ma anche per riaffermare il proprio appoggio alla lotta contro Joh. Era già successo, peraltro, durante le proteste contro i brogli, quando proprio l’unità d’élite Cobra era rientrata per protesta nelle caserme rifiutandosi di reprimere le legittime proteste della popolazione – «Non spareremo al popolo di cui anche noi siamo parte» -, impegnandosi invece a garantire la sicurezza dei manifestanti.

Il governo ha risposto alla sua solita maniera, scatenando una dura repressione – attraverso settori della polizia fedeli a Joh -, con un bilancio provvisorio di tre morti (rispettivamente di 17, 28 e 38 anni) e oltre venti feriti. E poi decidendo di schierare l’esercito in tutto il territorio nazionale e di procedere a un’epurazione all’interno delle forze di polizia.

«L’unica opzione che abbiamo è la ribellione», ha dichiarato Manuel Zelaya, l’ex presidente rovesciato dal colpo di Stato del 2009, da cui sono derivati tutti gli attuali mali del Paese: l’aumento della violenza e della miseria, le carovane dei migranti, gli attacchi ai diritti umani. «Hanno impiegato 10 anni – ha scritto – a distruggere tutto, saccheggiando lo Stato, distruggendo la fiducia nella classe politica, scatenando una guerra contro il popolo. Ce ne vorranno 20 per recuperare il ritmo di sviluppo che avevamo nel 2009».

Intanto, dagli Stati uniti, giunge una notizia destinata a creare non poco imbarazzo al presidente golpista: come riferisce Bloomberg sulla base di un documento firmato nel 2015 dal procuratore aggiunto Emil J. Bove III, è dal 2013 che la Dea (Drug Enforcement Administration) stava indagando su Joh per traffico di droga e riciclaggio di denaro legato all’esportazione di cocaina negli Usa. Senza che ciò impedisse, naturalmente, all’amministrazione Trump di mantenerlo al potere malgrado i brogli e contro la volontà di un intero popolo. Secondo il criterio, sempre valido, invocato da Franklin D. Roosevelt nei riguardi del sanguinario dittatore Anastasio Somoza: «Sì, è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana».