Tra gli eventi più attesi delle Giornate del Cinema Muto c’è la proiezione odierna di The Eternal City (George Fitzmaurice, 1923) un film filo-fascista girato da Samuel Goldwyn a Roma nei giorni della Marcia, in cui appare Mussolini in persona. Dato per perduto, il film era rimasto un aneddoto politicamente imbarazzante per Hollywood, nascosto nella storia del cinema muto, ma la possibilità che ha avuto chi scrive di vederne un lungo frammento – l’unico esistente al mondo- al MOMA, ha rivelato che Mussolini ha avuto un ruolo più rilevante di quanto non si potesse pensare, sia nella fiction, sia, probabilmente, nella produzione. Infatti, non solo il Duce ha permesso di girare il film in monumenti storici della città pochissimo tempo dopo aver ricevuto l’incarico di governare il paese, nel 1922, ma alcune didascalie sembrano essere state se non scritte, almeno ispirate da lui, giornalista consumato e drammaturgo più o meno competente.

Di qui l’idea di proiettare alle Giornate questo frammento, prezioso per la sua unicità e interessante per quello che mostra (come le immagini di Mussolini e il re che passano in rassegna le truppe «come se fosse stato Goldwyn stesso a persuaderli a fare queste guest appearances») e la cui digitalizzazione è stata finanziata dal Rotary di Pordenone. Eternal City era un romanzo socialista di Hall Caine, trasformato in un progetto filofascista attraverso le complesse manovre di Will H. Hays, che era stato appena chiamato a presiedere la MPPDA, l’associazione di categoria dell’industria cinematografica, e l’ambasciatore italiano a Washington.

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«Ho chiamato il principe Caetani, l’ambasciatore italiano negli Stati uniti – scrive Hays – e gli ho detto che vogliamo fare questo film in modo corretto. Gli ho chiesto se era interessato. È venuto a New York il giorno dopo e abbiamo trascorso il pomeriggio insieme. Mi è venuto a trovare tre volte. Ha nominato un rappresentante, e per tre settimane questi ha lavorato con il produttore, la sceneggiatrice e il regista, sul copione del film The Eternal City. La casa di produzione è andata in Italia, per realizzare il film.»

Che l’ambasciatore italiano, invece di occuparsi delle quote restrittive che gli Stati uniti avevano imposto all’emigrazione italiana nel 1920 e stavano per confermare di lì a poco, si desse da fare per permettere agli americani di girare un film a Roma, sorprende fino a un certo punto, dato il disinteresse che le istituzioni italiane hanno sempre mantenuto verso gli emigrati. Vale la pena invece di ricordare che non solo gli americani girarono in Italia una dozzina di film muti, ma che il primo fu proprio la versione socialista di Eternal City, girata a Roma nel 1914 (alla vigilia della guerra) con la regia di Edwin Porter, sì, quello di The Great Train Robbery.

The Eternal City racconta di David Rossi, un orfano che si innamora della piccola Roma. Da adulto David (Bert Lytell) si arruola e va in guerra, mentre Roma (Barbara LaMarr) diventa una famosa scultrice, «mantenuta» dal barone Bonelli (Lionel Barrymore), il leader segreto del Partito Comunista – un doppiogiochista che mira a diventare dittatore e sobilla i lavoratori soltanto per creare disordine. Dopo la guerra David, reduce deluso, si unisce ai fascisti e diventa il luogotenente di Mussolini. Quando incontra Roma, la svergogna pubblicamente in quanto amante di Bonelli; poi guida le camicie nere contro i bolscevichi e uccide il barone. Roma si assume però la colpa dell’omicidio di Bonelli, convincendo in questo modo David di non aver mai tradito il suo amore. L’uomo confessa l’assassinio e viene incarcerato, ma Mussolini, diventato Primo Ministro, firma la sua liberazione e la coppia si riunisce.

I due rulli sopravvissuti mostrano la parte finale della vicenda, con scioperi e scontri, spiegati da didascalie come «I fascisti (in italiano nel cartello) al Colosseo» mentre «La marmaglia Rossa sciamava nelle antiche terme romane». Il numero delle comparse è davvero impressionante e le masse si trovano davvero al Colosseo e in altri monumenti. La vittoria dello squadrismo viene raccontata con immagini di cariche dei lancieri a cavallo sui «bloscevichi» e una didascalia che dice: «E poi venne il grande trionfo finale per i Fascisti quando Mussolini guidò un esercito, ancora più pittoresco che i famosi Mille di Garibaldi, attraverso le porte della storica città di Roma.» E ancora, dopo la Marcia: «Fu una fortuna per l’Italia il fatto di avere un re davvero grande (great) e sensibile che ricevette il nuovo liberatore e gli offrì il ruolo di Premier.» Può la sceneggiatrice ufficiale del film, Ouida Bergere, che aveva appena confezionato uno script pieno di fesserie e imprecisioni per The Man From Home, la precedente pellicola girata col marito, George Fitzmaurice, in Italia, può proprio lei avere avuto sufficiente cultura storica da tracciare un parallelismo tra i Mille e le camicie nere, o prendere partito così esplicitamente sull’incarico al Duce?

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Nel finale si vedono Mussolini e il re che arrivano all’Altare della Patria, in immagini cinegiornalistiche. Subito dopo appare un primo piano di Mussolini che firma un documento (la didascalia dice: «Uno dei primi atti del nuovo governo è la liberazione del patriota, David Rossi») e il Duce guarda in macchina. Nella successiva inquadratura Roma attende in una terrazza-giardino che si affaccia sul «Ferro da stiro» dove si stanno svolgendo le celebrazioni dell’incarico di governo a Mussolini. È vestita con una tunica bianca che richiama un dipinto simbolista di Alma-Tadema, e abbraccia David, il quale tende il braccio verso la piazza al di sotto, come in un saluto fascista. Prima della dissolvenza finale, David e Roma si scambiano un bacio, sullo sfondo di un bel tramonto romano. Così Mussolini, come un deus ex machina, introduce l’happy ending di questa produzione americana di prestigio, girata in Italia -un finale che rivela una precoce fascinazione americana verso questo «uomo di azione e di ordine.»

A proposito di questa inquadratura, che si poteva pensare fosse tratta da un cinegiornale non pervenutoci, il cameraman Arthur Miller ha raccontato nelle sue memorie: «Mussolini era così favorevolmente impressionato dal progetto che il suo ufficio era sempre aperto per noi. Ci offrirono delle camicie nere per agevolare il controllo delle masse. Facevano tutto quello che chiedevamo loro. Una domenica abbiamo girato in cinque locations differenti a Roma, spostando duemila comparse a piedi da un posto all’altro della città per finire al Colosseo.» Miller aggiunge che girò le immagine di Mussolini nel suo studio, con piena cooperazione del Duce: «Accettò e sedette dietro la sua scrivania senza fare domande. Mussolini parlava l’inglese molto lentamente e con una voce soft

Anche Will Hays ha ricordato in seguito, per nulla imbarazzato, il sostegno dato a questo progetto, commentando: «…abbiamo realizzato un film che è piaciuto agli italiani e a Mussolini stesso, raccontando la storia come l’avrebbe raccontata l’Italia, in modo che tutte le nazioni la possano capire.» (Pesante come dichiarazione di imperialismo culturale.) L’affermazione è solo in parte corretta perché «gli Italiani» non hanno mai visto The Eternal City, che non è mai stato distribuito; è uno dei misteri storiografici dietro a questo film, ma comunque non un’eccezione: gran parte dei film muti girati dagli americani in Italia non circolarono nel paese.
The Eternal City ha permesso quindi al regime di sfruttare questa produzione cinematografica americana per spettacolarizzare il fascismo, proponendolo sugli schermi dell’intero pianeta, dai quali il cinema italiano stava invece rapidamente scomparendo. Rimane da capire perché Goldwyn e Hays affrontarono tutti questi problemi e perché intrattennero complesse trattative per girare il film a Roma proprio in un momento storico così tumultuoso. Forse perché, come diceva una delle pubblicità del film, «3.000 anni fa hanno iniziato a costruire il set per The Eternal City