]Di ritorno dalla cerimonia in onore di Mandela a Soweto, François Hollande ha fatto un breve scalo a Bangui, nella serata di martedì. La visita, a soli cinque giorni dall’inizio dell’intervento militare in Centrafrica «Sangaris», era stata decisa prima dell’uccisione di due militari francesi, di 22 e 23 anni, nella notte tra lunedì e martedì, in uno scontro a fuoco con un gruppo di ribelli dell’ex Séléka, le truppe musulmane che hanno realizzato il colpo di stato del marzo scorso. I francesi da lunedì sono impegnati a disarmare i gruppi che si scontrano nella capitale.
L’obiettivo dell’intervento, con il passare dei giorni, diventa sempre più ampio: non solo fermare il ciclo di violenze, che con l’annuncio dell’operazione «Sangaris» si è intensificato (almeno 500 morti in cinque giorni), ma contribuire alla stabilizzazione – di fatto – del paese. I francesi non manderanno, per il momento, altri soldati, oltre i 1.600 già sul posto, che appoggiano i 3mila africani della Misca. Dagli Usa e da Gran Bretagna, Germania, Belgio, Olanda, Polonia e, forse, Spagna è stato promesso un appoggio logistico, per il trasporto delle truppe.
Il primo ministro, Jean-Marc Ayrault, di fronte ai deputati, ha spiegato che «Santargis» durerà «qualche mese». Nessun gruppo politico critica apertamente la decisione di intervenire in Centrafrica, determinata dal rischio reale di un genocidio nel paese. Ma il Partito socialista si interroga: «una volta di più, l’Europa è assente» e suggerisce a Hollande di chiedere «una franca spiegazione» ai partner al Consiglio europeo della prossima settimana. I Verdi approvano «con prudenza», con dubbi sulla durata dell’intervento e sui suoi costi e chiedono un voto, oltre al dibattito parlamentare di ieri. Il Ps ha proposto che le somme spese da Parigi possano venire tolte dal calcolo dei deficit pubblici.
Nel partito di Sarkozy, ci sono posizioni divergenti. Il segretario, Jean-François Copé, considera che «l’inazione e la passività non sono un’opzione in Centrafrica», mentre il deputato Bruno Le Maire si è detto «preoccupato» per la moltiplicazione degli interventi militari in Africa, undici mesi dopo il Mali. Nel Front de Gauche, Jean-Luc Mélenchon non si oppone frontalmente, ma invita a «una grande vigilanza: attenzione, la Francia non ha la vocazione di essere la gendarmeria internazionale dell’Africa». Il Fronte nazionale sostiene l’operazione, per difendere «la zona d’influenza» della Francia.
L’operazione è più difficile del previsto. Bangui, una città di più di un milione di abitanti, è in preda alla violenza, con scene di linciaggi, lapidazioni, assassini all’arma bianca. Due moschee sono state prese d’assalto. Il ministro degli esteri, Laurent Fabius, ha ricordato che il presidente, Michel Djotodia, al potere con il colpo di stato del marzo scorso e criticato perché non in grado di controllare le sue truppe, rappresenta un potere «transitorio» e non potrà presentarsi alle prossime elezioni, che la Francia vorrebbe nel 2015.