Desiderio del LIFF è quello di tenere viva la memoria di Charles Nedwin “Ned” Hockman (1921-2009), figlio dell’Oklahoma, già giornalista durante la Depressione e decorato fotografo di guerra, e dell’unico lungometraggio a sua firma, «Stark Fear» (1962), misconosciuto gioiello grezzo indeciso tra il noir psicologico e la più spavalda exploitation. Per far fronte alle insufficienti entrate familiari, la mite Ellen Winslow accetta un impiego da segretaria: al ritorno a casa dopo la prima giornata di lavoro tutto immagina tranne che la irascibile, sadica, disgustata reazione del marito, un tempo in affari col suo attuale datore di lavoro. Gerry Winslow è un coniuge che pian piano rivelerà una serie di traumi e debolezze psicologiche risalenti alla sua origine e alla figura materna, localizzati nell’arretrata cittadina di Quehada, teatro di un’improvvisa esplosione di violenza ai danni della povera protagonista arrivata fin lì nel tentativo di scoprire le nascoste verità e salvare se stessa, se non il menage matrimoniale. La californiana Beverly Garland (che interpreta Ellen) affermò essere Stark Fear il titolo che meno apprezzava della sua carriera: sulla lezione di Psycho (uscito un anno prima) si innesta una messinscena amatoriale eppure spiazzante, per profondità di dettagli e atmosfera wild at heart: pronto alla visione grazie alla democratica piattaforma di Nicolas Winding Refn, byNWR.

Di Edwin (1978 Indonesia), in attesa del suo più recente (e di contingente attualità: cibo, influenza aviaria, conflitto tra fede e scienza) Aruna and Her Palate (2018), opportuno recuperare il sottovalutato «Postcards from the Zoo», film del 2012, rifrazione nel senso della reverie (o del rifiuto della verosimiglianza) tra la solitudine individuale e il destino animale, nel perimetro angusto di un parco di Jakarta in cui l’esotismo della bestia in costrizione non può ritagliarsi più che lo spazio,appunto, di una cartolina. Lana, abbandonata piccolissima dal padre allo zoo (!), vent’anni dopo ne fa parte integrante, assorbendo come perpetuo riferimento emozionale l’incontro con un magnifico esemplare di giraffa. Lo sbandamento imposto dalla vita reale (prima un giovanotto artista/mago/ imbonitore di strada che la porta via con sé, e poi la deriva in un equivoco centro massaggi fortunatamente non si imporrà ad annientare il cuore vero di Lana, le cui mille domande e nessuna risposta sulla propria esistenza non possono riproporsi che allo zoo. Disponibile su FestivalScope.

Trascorsa la fertile stagione dell’horror gotico, la volontà di arginare il declino della prestigiosa casa di produzione britannica Hammer, col trasferimento ad est nelle braccia degli Shaw Brothers, non generò soltanto il super-weirdo «La leggenda dei sette vampiri d’oro», ma nello stesso anno (siamo nel 1974) un altro mix di kung-fu e delinquenza, «Shatter» (in italiano «Un killer di nome Shatter»), «derivato» piuttosto oscuro e con una particolarità, essere stato girato prima da Monte Hellman e poi completato dal veterano della casa inglese Michael Carreras. Uno stazzonato Stuart Whtman, assassino al soldo di non si sa bene chi, passa dall’Africa a Hong Kong per riscuotere quanto dovutogli, ma a destinazione dovrà vedersela oltre che con le arti marziali anche con le meravigliose cariatidi di sempre Anton Diffring e Peter Cushing, garanzia di «Hammer Galore!». Lancio: «The break-thru movie that mixes martial arts with mob-style violence»: oggi in blu-ray di Scream Factory richiedibile presso diabolikdvd.com