Approda oggi a Lampedusa Enzo Avitabile Music Life, il film che il regista Jonathan Demme ha dedicato al musicista partenopeo. Stasera Avitabile si esibirà in un concerto dal vivo per la popolazione dell’isola e per i migranti: «Anche la pellicola in realtà è un concerto, un omaggio al quartiere di Marianella dove sono nato, a Napoli, alla terra di mezzo che avrebbe dovuto accogliere chi arriva da noi attraverso il mare. Lo so che si dice sempre che ci vuole la fratellanza, l’accoglienza, il lavoro ma siccome non ci sono allora è meglio ripetere». Il film, presentato a Venezia 2012, è stato distribuito negli Usa e per due giorni, il 18 e il 19 novembre, sarà nei cinema italiani.

La pellicola non racconta la città, spiega Avitabile, ma un percorso artistico: «Naturalmente io sono un granello della storia di Napoli e quindi alla fine racconta anche un suo pezzetto di storia. Ma protagonista è anche Marianella, un quartiere volutamente tenuto fuori dalla vista dell’opinione pubblica. I media se ne ricordano quando ne devono parlare con Scampia per fare sensazione. Io li definisco ‘terre a svantaggio’ ma se sono a svantaggio vuol dire che c’è qualcuno che è responsabile per questo». Agli esordi funky è dedicato un breve passaggio: «Considero i miei primi dischi lavori di maniera, laboratoriali, facevo esperienze negli Usa con musicisti come Afrika Bambaataa, ero in cerca del mio suono.

Un giorno James Brown mi disse ‘Io sono stato il più veloce di tutti, più veloce di me c’è solo dio. Adesso torna a casa e cerca il tuo linguaggio’. Il mio linguaggio l’ho trovato riscoprendo il canto in dialetto. I ritmi della religiosità popolare che diventano rito laico. Proprio come la black music e le sue radici gospel».
Avitabile si muove dalla periferia al centro, gli interni sono lo spazio per raccontare la musica. La cantina del palazzo popolare dove si esercitava al sassofono, non aveva ancora dieci anni, il bar di quartiere con il jukebox, il Salone Margherita, lo storico Cafè Chantant di Napoli di fine ottocento: «È un posto al di fuori dello spazio e del tempo dove ho accolto artisti amici per una jam session. La world music non si può definire: è il suono che verrà domani». Così la famosa sala da ballo in disuso ha ospitato fra gli altri le improvvisazioni del cubano Eliades Ochoa, il liuto dell’iracheno Naseer Shamma, le percussioni di Trilok Gurtu, la voce della palestinese Amal Murkus, in un viaggio che ha legato Napoli all’Armenia, al Pakistan, all’Iran, alla Mauritania.

Ma ci ha portato anche nelle campagne di Sant’Antonio Abate, alle porte della città, per sentire Zi’ Giannino Del Sorbo distendere la voce nel canto a «fronne e limone». «Ogni musicista ha dentro di sé tanti musicisti diversi. Quando suono con i Bottari di Portico ho bisogno della partecipazione del pubblico, urlo ‘Datemi le mani ncopp’ o groove’. Ma nel mio spazio privato ci sono le 600 partiture che ho scritto, mai eseguite. Ogni tanto mi domando chi sono veramente, sono il viaggio nella mia ricerca».