Massimo Costantini ha 62 anni, è un medico, direttore scientifico dell’Irccs di Reggio Emilia. La notte del 21 luglio 2001 si trovava nella scuola Pascoli di Genova, di fronte alla scuola Diaz. La «macelleria messicana» contro i manifestanti anti-globalizzazione si svolse davanti ai suoi occhi.

Lei è stato risarcito dallo Stato italiano e ha donato i soldi a Mediterranea. Perché?

Quando è stata avviata la causa di risarcimento per i danni psicologici subiti durante il G8 ho pensato da subito che se avessi vinto avrei dato quei soldi a qualcun altro. Mi sarei vergognato a tenerli per me o spenderli. Ci sono tante realtà meritorie, ma l’iniziativa di Mediterranea, che già conoscevo e sostenevo, mi è sembrato avesse qualcosa in più. Credo che raccolga e rilanci lo spirito del movimento «no global» della fine degli anni ’90. Quel movimento riusciva a mettere insieme diversi pezzi del panorama politico italiano, proprio come sta facendo oggi Mediterranea. C’erano organizzazioni cattoliche e ci sono anche a sostegno della missione della nave Mare Jonio. C’erano gruppi antagonisti e ci sono tanti centri sociali che appoggiano Mediterranea. C’erano settori sociali importanti che quella volta, quel 21 luglio 2001, si ritrovarono in 300mila, il giorno dopo l’omicidio di Carlo Giuliani. Quel movimento è stato bruscamente interrotto a Genova. In un certo senso, il mio piccolo gesto prova a riallacciare un filo spezzato.

Il risarcimento viene dal ministero degli Interni, che quindi ha finanziato Mediterranea…

Questa cosa ovviamente piace a tutti. Un amico mi ha detto che evidentemente Dio esiste e si sta divertendo. Comunque è vero: è il ministero degli Interni che mi ha risarcito perché i danni sono stati fatti da quel ministero attraverso la polizia.

Perché lo Stato le ha dovuto pagare un risarcimento?

Ero uno dei medici che hanno lavorato per strada durante il G8. Avevamo una sala di fronte alla scuola Diaz, quella dell’irruzione della polizia. La notte del blitz abbiamo visto arrivare camionette e agenti, i primi pestaggi per strada, l’ingresso nella Diaz. Poi sono entrati anche dove ci trovavamo noi. Siamo stati sequestrati senza alcuna spiegazione per ore. Nessuno ci ha torto un capello, ma la violenza psicologica è stata tanta. E poi sentivamo benissimo quello che accadeva di fronte. Su quei fatti ho deposto in tribunale due volte, raccontando ciò che avevo visto e sentito. Tutta la vicenda è stata molto pesante e su quella base abbiamo avanzato una richiesta di risarcimento danni.

Lei perché era entrato a far parte dello staff medico del Genoa Social Forum?

Per caso, a dir la verità. Avevo fatto attività politica da giovane, per tanti anni. Ma in quel periodo stavo semplicemente lavorando, non venivo da un percorso di militanza. Qualcuno mi disse che c’era un’iniziativa di preparazione degli eventi di Genova, mi chiese se volevo dare una mano. Insieme ad altri colleghi ci mettemmo a disposizione per fare quello che serviva. Nessuno di noi si aspettava ciò che poi è successo.
Da Genova 2001 sono passati quasi 18 anni.

Cosa vede oggi in quel movimento?

Avevamo ragione su tantissime cose. Molto più di quanto pensassimo allora. Avevamo colto le contraddizioni che c’erano a livello globale e avanzavamo una richiesta di giustizia che valesse per tutti. Genova è stato il punto di arrivo di un movimento che voleva costruire un mondo diverso. La spinta ad affrontare le sfide della globalizzazione mettendo al centro i bisogni delle persone, invece di quelli delle multinazionali, era giusta. Quel movimento purtroppo è andato a sbattere contro i manganelli, contro la repressione, e non si è più rialzato. Quello che è successo dopo è sotto gli occhi di tutti. Molte delle nostre parole d’ordine sono riutilizzate dalle destre, facendo prevalere un rifiuto della globalizzazione su tematiche nazionaliste, sovraniste e spesso razziste. Quella sconfitta ha fatto emergere il lato oscuro. Mediterranea ci dice che possiamo riprendere il filo e continuare a dire la nostra. Mediterranea è il simbolo di una speranza.