Mirella Bentivoglio, artista verbovisuale e critica d’arte (scomparsa nel 2017 a 95 anni), aveva iniziato la sua strada creativa affidandosi alla poesia con la raccolta Giardino (che nel 1943 Caproni volle recensire).
Poi la parola deflagrò, divenne pietra, s’impuntò sui «silenziari», si fece fuso della Bella addormentata e, infine, conquistò una metamorfosi semantica che la rendeva segno grafico puro, «luogo» di accadimenti e di sedimentazioni di memorie, anche archetipiche.
Seguendo la rete della smaterializzazione, la parola per Bentivoglio divenne immagine, spesso rebus iconico, «oggetto» primario di una comunicazione per affinità elettive che, soprattutto, legava insieme le donne sperimentatrici di linguaggi, dalle avanguardie futuriste in poi.

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Proprio a Roma, sua città di vita e lavoro (nonostante il nomadismo intellettuale e anche di radici famigliari che caratterizzò la sua personalità e la sua ricerca concettuale) si è aperta una mostra dal titolo Histoire d’E – nello spazio indipendente di Lettera_E, a cura di Paolo Cortese e Francesco Romano Petillo, visitabile fino al 15 ottobre – che per assonanze e rimandi quasi alchemici ripercorre (in assenza) il mondo totemico della scrittura e della sua evanescente scomposizione in forme primarie. D’altronde, proprio così – Histoire d’E – si chiamava una sua mostra londinese tenutasi nel 1988.
Nella piccola sala romana, la trasformazione poetico-visuale avviene per salti generazionali. C’è chi, come Tomaso Binga, Chiara Diamantini, Anna Esposito, Amelia Etlinger era già presente negli anni 70 combattendo una dura battaglia per la visibilità con mostre collettive, ricerche, rotture di tradizioni artistiche. Una battaglia che fu vinta nel 1978 quando Bentivoglio curò, per la biennale di Venezia, la rassegna Materializzazione del linguaggio, in cui molte di loro esposero le nuove (e non più discriminate) opere. Ma c’è anche chi, come Elly Nagaoka, autrice giapponese che vive in Italia, raccoglie quel «filo imbastito» e rende omaggio a quella vocale che «congiunge», agitandola verso l’esterno, con forza centripeta, facendo uscire dal margine qualsiasi impulso a significare e rendendo la lettera un oggetto sensoriale. Così, trasformati, anche gli spartiti musicali/figurativi di Esposito, gli abecedari viventi di Binga, i pittogrammi di Sunada possono dialogare liberamente.
La mostra avrà una seconda parte ad Atene, nella neonata galleria Gramma _Epsilon.