Un’ombra, impressa per sempre sulla pietra degli scalini d’ingresso della filiale locale della banca Sumitomo. È questo uno degli oggetti più rappresentativi dell’esposizione permanente del Museo del memoriale della Pace di Hiroshima, Giappone sudoccidentale, prima città su cui venne sganciata una bomba atomica nella storia dell’umanità, la memoria visibile di quanto accaduto negli ultimi giorni della guerra del Pacifico.

Settant’anni. Tanti ne sono passati dal 6 agosto 1945. Il Little Boy, questo il soprannome dell’ordigno che distrusse gran parte della città facendo oltre 150 mila vittime, in maggioranza civili. Circa 80mila di loro furono uccisi sul colpo. Scomparvero in un attimo, prima di poter rendersi conto di quanto stava succedendo. Di quel giorno, Hiroshima non porta molte tracce. La Gembaku Dome è però ancora lì, esattamente come alle 8:15 del 6 agosto di settant’anni fa, non lontano dal vero obiettivo dell’Enola Gay, il ponte di Aioi, con la sua riconoscibile forma a T. Il suono basso di una campana accompagna l’avvicinarsi dei mezzi pubblici a questo luogo, oggi patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Gran parte della struttura originale dell’edificio è ancora intatta. Le finestre vuote e la cupola di cui rimane solo la struttura portante di metallo danno all’edificio, prima della bomba un centro di esposizione industriale del governo della provincia di Hiroshima, un aspetto spettrale. Secondo il sito di viaggi Tripadvisor, è una delle mete turistiche più popolari del paese arcipelago. Qualcuno lo inserisce poi tra le principali mete mondiali del turismo nero, o turismo del lutto: dai campi di sterminio tra Germania e Polonia fino a Ground Zero a New York.

La stessa ora di Little Boy

Ogni 6 agosto a pochi metri dalla cupola, decine di migliaia di persone si riuniscono a partire dalla prima mattina. Alle 8:15, lo stesso orario in cui Little Boy venne sganciato su Hiroshima, si tiene un minuto di silenzio per le vittime di quella bomba. Intanto, in un braciere al centro del parco del memoriale, una fiammella continua a bruciare. Sarà spenta solo quando l’ultima arma nucleare sarà dismessa.

Il settantesimo anniversario dello sgancio della bomba atomica su Hiroshima seguito a distanza di una decina di giorni da quello della fine della guerra del Pacifico arrivano in un momento delicato per il futuro del paese arcipelago. Da pochi giorni, la proposta di legge che amplia le capacità di intervento delle forze di autodifesa giapponesi all’estero è entrata nella Camera alta della Dieta nazionale, per un’ultima tornata di discussioni prima del voto parlamentare. Il governo guidato da Shinzo Abe vuole trasformare le proposte in legge entro fine settembre. Tali modifiche andrebbero a modificare il Trattato di sicurezza e mutua cooperazione con gli Stati Uniti, firmato in prima istanza nel 1960 e permetterebbero al governo di aggirare l’articolo 9 della costituzione – che sancisce la rinuncia eterna del Giappone alla guerra – in caso di richieste di aiuto militare da parte di paesi alleati e amici.

«I giapponesi sono tra i popoli che più al mondo amano combattere» — spiega con una provocazione Tatsuoki Hosono, regista e docente del Japan Institute of the Moving Image al manifesto. Hosono cita il periodo Sengoku (1467-1603), un’epoca caratterizzata da continue guerre intestine tra signori della guerra locali. «Ridare loro la possibilità di prendere le armi è una cosa irresponsabile».

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Manifestazione pacifista a Hiroshima

Dalle associazioni pacifiste, alle associazioni di madri dagli studenti di liceo a quelli delle università, la società civile giapponese vive un momento di intensa mobilitazione. Manifestazioni e proteste si tengono a cadenza costante arrivando in alcuni dei luoghi più vitali e frequentati della metropoli, come le stazioni di Shinjuku, Shibuya e Yurakucho. In qualche caso contenute, in altri piuttosto ampie. Il giorno dell’approvazione delle nuove leggi di sicurezza in parlamento, lo scorso 15 luglio, oltre 20mila persone si sono radunate nelle strade intorno al parlamento per chiedere le dimissioni del primo ministro Abe, accusato di ignorare la costituzione e di mettere a rischio le vite dei suoi concittadini.

La pace concetto superato

La pace sembra – almeno a livello della leadership nazionale – un concetto superato. «I giapponesi non concepiscono più sovranità popolare, diritti umani e pacifismo come propri della loro mentalità», ha scritto Takaya Muto, 33enne parlamentare del partito attualmente al governo sul proprio blog. Ma non a livello della società civile le cose sembrano non stare proprio così. Qualche giorno prima, Muto aveva attaccato gli studenti che sono scesi in piazza per protestare contro le «leggi di guerra» del governo Abe.

Eppure non tutti la pensano così. «È positivo – spiega Hosono – che anche gli studenti siano scesi in piazza». I più giovani, in particolare, sono cresciuti con le manifestazioni, in particolare quelle contro il nucleare partite all’indomani dell’incidente nucleare di Fukushima nel 2011.

Alle celebrazioni di Hiroshima ci sarà anche una rappresentanza dei SEALDs, il gruppo studentesco animatore nelle ultime settimane delle proteste contro le cosiddette «leggi di guerra» di Abe davanti al parlamento di Tokyo. «Oggi è un giorno particolare per i giapponesi. – spiega al manifesto uno dei rappresentanti del gruppo – Mentre in questi giorni in parlamento si discute delle nuove leggi di sicurezza, cerchiamo di far diventare settant’anni di pace un’eternità. Non vogliamo una nuova guerra». Lo scorso anno, il sindaco di Hiroshima Kazumi Matsui aveva usato parole simili per invitare i leader delle principali potenze mondiali a visitare la sua città.

Dimenticare Fukushima

Matsui non si era rivolto direttamente al premier giapponese, presente alla cerimonia. Ma qualcuno ci aveva letto un sottile ammonimento. «Se lo faceste, capireste che le armi nucleari sono il male assoluto la cui esistenza dovrebbe non essere più permessa».

Ironicamente, un giorno dopo l’anniversario della seconda bomba atomica americana su Nagasaki, uno dei due reattori della centrale nucleare di Satsuma Sendai, nell’isola sudoccidentale del Kyushu, tornerà in servizio dopo più di due anni di nucleare zero.

Come nel caso degli hibakusha, le persone esposte alle radiazioni emesse dall’esplosione della bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki, ogni anno sempre di meno — nel 2014 erano in circa 190mila — anche la memoria di quanto successo più di quattro anni fa a Fukushima rischia oggi di essere dimenticata. Il tentativo di rilanciare l’economia, l’assegnazione delle Olimpiadi 2020 e le leggi di sicurezza hanno gradualmente spostato l’attenzione dell’opinione pubblica giapponese verso temi diversi dalla situazione alla centrale nucleare numero uno di Fukushima.

«La memoria va costruita, non è qualcosa che esiste a priori», spiega al manifesto Eiji Oguma, storico e sociologo dell’Università Keio di Tokyo. «Anche nel caso di Hiroshima ci vollero quasi dieci anni prima che le immagini dell’esplosione nucleare potessero essere diffuse sulla stampa. Prima la censura dell’occupazione americana lo aveva proibito». Il 5 agosto, Oguma ha presentato al club dei corrispondenti esteri di Tokyo il suo primo film «Tell the Prime Minister» dedicato alle proteste no nuke partite nel 2011 in seguito all’incidente nucleare di Fukushima. La pellicola narra gli eventi seguiti all’incidente nucleare vengono raccontati attraverso la voce di otto personaggi, di estrazione e credo politico diversi, dagli attivisti del collettivo antinuclearista Metropolitan Coalition Against Nukes, all’ex primo ministro Naoto Kan. Anche nell’opera di Oguma, uno degli intellettuali più attivi della sua generazione, i temi di nucleare e guerra si intrecciano. Da poco è stato pubblicato un libro che ricorda la vicenda del padre, Kenji, inviato a combattere in Siberia e tornato vivo in patria. «In particolare in un periodo in cui la società giapponese rimane frammentata, la mia idea è costruire un consenso sul futuro del paese, una visione di lungo periodo».
Per questo, bisogna evitare che la memoria storica di fatti lontani e recenti si assottigli. Proprio come l’ombra dell’uomo sugli scalini della banca Sumitomo di Hiroshima.