Hillary Clinton ha criticato la politica estera di Obama, sostenendo che il Califfato «va distrutto e non contenuto». Per questo servono più raid, più bombardamenti più impegno nella coalizione. E che i fatti di Parigi abbiano surriscaldato la situazione lo ha dimostrato anche il candidato repubblicano alla Casa bianca, Donald Trump, che ha proposto «un registro per i musulmani». Perfino Jeb Bush ha bocciato l’idea definendola «ripugnante». Ma nel frattempo con un conteggio di 289 a 148 e grazie al voto favorevole di 47 «franchi tiratori» democratici, la camera dei deputati americana ha sbattuto la porta in faccia ai rifugiati della guerra siriana, decidendo di sospendere per ora nuove ammissioni di richiedenti asilo.

Mentre in internet torna a girare il meme su Steve Jobs figlio di genitori siriani (il fondatore della Apple venne poi adottato), l’America è convulsa da una psicosi di riflesso amplificata e strumentalizzata da una macchina elettorale già a pieni giri che ancora una volta la spacca in due.

Mentre Obama ha ribadito la politica «compassionevole» degli Stati uniti verso i profughi di guerra e l’intenzione di accogliere nel 2016 10.000 Siriani in fuga la eco dei fatti europei ha rinvigorito il coro anti-rifugiati. Compatta e sempre più stridente la prevedibile opposizione repubblicana cavalca l’onda xenofoba aizzata a favore dei sondaggi delle primarie. Anche se non si respira certo l’aria pesante che grava sull’Europa non fanno difetto i partigiani della paura e la questione dell’asilo è diventata un affare di stato nel senso dei governatori dei singoli stati che si sono schierati per la chiusura o per l’apertura. È cominciato tutto con la dichiarazione di qualche governatore d’assalto come Scott Walker in Wisconsin, pronunciatosi contro la politica di Obama e dichiarando di voler «chiudere i confini» contro la minaccia che certo si annida nelle orde in arrivo. È seguita un’escalation. Il candidato presidenziale Ben Carson ha suggerito quantomeno di esaminarli per determinare se fra di loro si possano nascondere «cani rabbiosi che poi scorrazzerebbero per i nostri quartieri». Tutto questo a fronte di un numero esiguo di rifugiati effettivamente giunti in Usa: appena 1.800 profughi avrebbero ad oggi effettivamente superato le procedure di asilo dall’inizio della Guerra civile che ha prodotto 200000 morti e milioni di profughi.

Negli ultimi giorni governatori di ben 30 stati – tutti repubblicani – hanno dichiarato «unilateralmente» che non accoglieranno rifugiati. Sull’altra sponda i 20 democratici come Andrew Cuomo a New York e Jerry Brown in California, sostengono il progetto di accoglienza di Obama. Una situazione paradossale in cui sono piombati alcuni rifugiati come la famiglia di padre madre e figlio di cinque anni, fuggita da Homs che dopo una lunga di attesa è infine stata approvata ed è stata trasferita in Indiana. Ma qui hanno trovato il veto del governatore Mike Pence militante conservatore ; dopo tre anni ad aspettare il visto in un campo profughi, si sono trovati la strada nuovamente sbarrata. A questo punto è intervenuto il governatore del Connecticut Dannell Malloy che ha invece offerto asilo ai rifugiati (ora apparentemente in fuga anche dall’Indiana).

Obama ha le sue ragioni quando deride i repubblicani che «temono orfani di tre anni». La sua ministra della giustizia Loretta Lynch ha dichiarato che le restrizioni «sono contrarie ai valori di questa nazione» e non è escluso che se dovessero davvero essere implementate potrebbero essere invalidate dai tribunali. È ancora possibile infine che il voto del congresso, passato con una maggioranza a prova anche di un eventuale veto presidenziale, venga bloccato in senato. Intanto però ogni esternazione di «tolleranza zero» ha un implicito e demagogico valore politico. Così si allunga la lista che annovera giornalmente nuovi entusiasti accoliti che gareggiano per dimostrare le proprie credenziali anti-profugo.

Il sindaco di Roanoke, Virginia, David Bowers è giunto ad ipotizzare misure preventive simili a quelle prese durante la seconda guerra mondiale. Il riferimento è ad uno dei capitoli più scuri del secolo americano, il rastrellamento di decine di migliaia di «Giapponesi» dalle città e dalle campagne, principalmente degli stati dell’Ovest dov’era concentrata l’immigrazione asiatica, ed il loro imprigionamento sommario in campi di concentramento.

Il sindaco Bowers reputa che alla luce degli attentati parigini la minaccia «nemica» sia perlomeno equivalente a quella di allora. Non ricorda invece che nei lager finirono senza processo decine di migliaia di cittadini americani di origine nipponica la cui colpa era quella di assomigliare ai propri avi che per questo persero la libertà e ogni avere. Dopo innumerevoli contenziosi e cause da parte di famigliari e discendenti, gli Stati uniti hanno finito per offrire risarcimenti e le scuse ufficiali (nel 1988)per avere calpestato così arbitrariamente i diritti civili dei nippo-americani. 70 anni dopo il sindaco Bowers trova tuttavia che sarebbe opportuno ripetere l’esperimento di «sicurezza preventiva», aggiungendo quindi all’arbitrario sopruso l’amara ironia di perseguitare le vittime stesse di un conflitto di cui gli Usa sono quantomeno corresponsabili. Intanto continua la rivolta dei governatori.

Quello dell’Alabama, Robert Bentley, ha reso noto che per i rifugiati siriani non ci sarà alcuna «sweet home»nella patria di George Wallace, il governatore che aveva giurato che le scuole dell’Alabama sarebbero state aperte agli afroamericani «sopra al suo cadavere».