Sanzioni fa rima con ristrettezze economiche. E allora ci si appella alla raccolta fondi. È quanto fatto venerdì da Hassan Nasrallah, leader del movimento sciita libanese Hezbollah, in risposta alla decisione della Gran Bretagna di inserire l’ala politica del gruppo nella lista nera delle organizzazioni terroristiche, annunciata lo scorso 25 febbraio.

Una decisione giunta un po’ a sorpresa: sebbene Hezbollah non distingua tra ala politica e ala militare, il braccio armato del movimento era già stato «bannato» da Londra. Che finora non aveva fatto altrettanto con quello politico, parte della coalizione di governo oggi al potere in Libano. Hezbollah esprime tre ministeri nell’esecutivo di Saad Hariri grazie alla vittoria elettorale dello scorso anno: la lista 8 Marzo, di cui è membro, ha ottenuto la maggioranza, 78 seggi su 128.

Black list significa sanzioni, che si aggiungono a quelle statunitensi in vigore da anni. E significa, potenzialmente, anche un domino di reazioni simili. Nasrallah teme, lo ha detto venerdì, che altri paesi seguano l’esempio britannico.

Per questo ha chiesto aiuto alla base: «Le sanzioni e le liste del terrore sono una forma di guerra contro la resistenza e dobbiamo affrontarle – ha detto in un discorso alla tv al-Manar, vicina al movimento sciita – Annuncio oggi che abbiamo bisogno del supporto della nostra base popolare».

In soldoni, soldi: Hezbollah chiede a militanti e sostenitori di finanziare il gruppo colpito dalle restrizioni finanziarie imposte dall’Occidente, fondi che servono sia in casa che fuori.

In particolare nella vicina Siria, dove i combattenti sciiti hanno avuto e hanno ancora un ruolo di primo piano nella lotta ai movimenti jihadisti e qaedisti, con l’obiettivo di riportare in sella il presidente Bashar al-Assad.

Buone notizie arrivano, però, da Berlino che proprio venerdì ha fatto sapere di non avere intenzione di relegare Hezbollah in lista nera: garantisce stabilità, dice la Germania, non vogliamo essere noi a metterla in discussione.