Non è la prima volta che Herzog va ad est. Subito dopo la fine dell’Urss, Bells from the Deep (1993) mostrava, non senza un certo stupore, come dopo settanta anni di materialismo storico la sola struttura veramente solida nel paese dei soviet è la religione. Il regista tedesco si spingeva in luoghi remoti della russia contadina, filmando persone umili, starec new age, personaggi curiosi, semplici ciarlatani e ovunque trovando uno strano collage di elementi che sembravano uscire tanto dalla letteratura del novecento che dalla televisione nordamericana.

ANCHE in questo film – Herzog incontra Gorbaciov (nelle sale dal 19 al 22 ottobre) ha come oggetto il crollo del mondo sovietico. Contrariamente al primo, tutto il racconto è incentrato su un solo incontro e con un uomo assolutamente sovietico. Michail Gorbaciov è un puro figlio della rivoluzione d’ottobre. Nato in una famiglia di contadini kolkoziani, cresciuto in un villaggio sperduto in una sterminata pianura coltivabile, inviato a studiare a Mosca, diventa funzionario locale, poi nazionale, e infine capo assoluto. erzog arriva all’incontro con l’ultimo capo dell’Urss con un discorso: «io sono tedesco, dice con sorriso forzato : ora, il primo tedesco che lei deve aver incontrato è stato sicuramente un nemico…» Gorbaciov non lo lascia finire, e spezza con un «niet» divertito la piccola introduzione del regista. No, il primo tedesco che Gorbaciov ha incontrato non era un invasore ma un vicino che impressionava il piccolo Michael offrendogli degli ottimi biscotti allo zenzero. La palla passa a Gorbaciov, che riprende così: «Mio nonno era un contadino responsabile d’una azienda agricola collettiva…».

DA SUBITO è chiaro che si incontrano due punti di vista diversi su Gorbaciov. Quello di Herzog, che vuole fare soprattutto l’elogio del lascito pacifista ed europeista del leader. Quello di Gorbaciov stesso, che avrebbe voluto salvare il socialismo e non riesce ancora a perdonarsi di aver distrutto la sacra unione di tutti i kolchoz.

DISARCIONATO dalla storia, che tutto d’un tratto si è messa a cavalcare più in fretta di lui, l’ultimo dirigente comunista è finito in una pubblicità della piazza Hut. Herzog, che pure racconta la parabola, ci risparmia l’umiliazione. E il suo film cerca al contrario di lenire le ferite, mostrando un Gorbaciov degno fino all’ultima firma – che i russi non gli perdonano. Dal punto di vista politico, l’operazione è assurda. Assurda in occidente, dove Gorbaciov è piuttosto amato. Assurda in patria, dove conferma l’opinione comune secondo la quale Gorbaciov è molto apprezzato all’estero proprio perché ha fatto cappottare l’Unione. Da questo punto di vista, il muro è ancora in piedi. C’è un filo meno grezzo che Herzog tesse quasi suo malgrado. Per vederlo bisogna tornare alla grande pianura dove il piccolo Mikael vive con i nonni e dove Herzog non tarda ad intravedere una montagna. È il 1944, il padre Sergei è al fronte. È dato per morto. Poi, improvvisamente, ritorna. Abbraccia il figlioletto e gli dice: «abbiamo combattuto fino a che non c’è stato più nulla da combattere. Vivi seguendo questa massima» Di certo, Werner Herzog ha messo in scena quel tipo di vita. È così che Gorbaciov ha realmente vissuto? Come un Fitzcarraldo? Come un Aguirre?

LA SUA MONTAGNA è stata la piramide egizia del socialismo mummificato, che Herzog mostra con impietosa efficacia attraverso gli archivi televisivi dai quali emerge l’interregno di funerali e nomine incorsi tra la morte di Breznev e l’arrivo del giovane Gorbaciov alla sommità dello Stato sovietico. Su quel muro di burocrazia, Gorbaciov ha cercato di spingere la nave del socialismo. Fino a che il muro non è caduto, lasciandolo a capo di una nave vuota. Gorbaciov ha conquistato l’inutile, ed è entrato quindi nel pantheon degli eroi di Herzog. Difficile dire se questo traguardo possa cancellare i suoi rimpianti. Ed i nostri.