La nozione di vita è uno dei nuclei problematici più densi per la riflessione filosofica degli ultimi anni. Declinata in chiave di bioetica, di biodiritto, di biopolitica, oppure come oggetto di considerazione della teoria critica delle forme di vita o nei termini più tecnici della filosofia della biologia, essa costituisce un fuoco di attenzione che nessuna delle diverse prospettive riesce a esaurire.

Sulla declinazione del concetto nel pensiero di Hegel tornano ora due libri molto diversi, Pensare la vita Saggio su Hegel (Il Mulino, pp. 313, € 25,00) di Stefania Achella, che attraversa l’intera evoluzione del pensiero hegeliano, mostrandone non solo i vincoli con il dibattito filosofico ma anche con quello scientifico, che porta alla nascita della biologia come disciplina scientifica autonoma; e Hegel’s Concept of Life Self-Consciousness, Freedom, Logic (Oxford University Press, pp. 336, € 55,00) di Karen Ng, che muove da una considerazione della Critica del giudizio kantiana, ritenendola giustamente il testo basilare per Hegel sulla questione, per poi dedicarsi a un’analisi dello scritto sulla differenza fra la filosofia di Fichte e quella di Schelling, quindi alla Fenomenologia dello spirito, e infine a una lettura originale della Scienza della logica.

Hegel è ben consapevole dello scandalo prodotto dalla sua intrusione della vita nella logica, eppure – dice – la vita è l’ambito privilegiato attraverso il quale possiamo cogliere l’unilateralità di tutte quelle visioni della verità che sono incapaci di rendere conto del dinamismo, della trasformazione, del diventare altro da sé rimanendo a un tempo identici, che costituisce la realtà nella sua vitalità storica. Quel tipo di pensiero che si attiene alla logica ordinaria è capace di trattare la vita, secondo Hegel, solo come un ché di morto, perché solo così riesce a evitare di pensare la contraddizione.

Relegando tutto ciò che fuoriesce dalle rigide categorie della logica ordinaria, quel tipo di pensiero fa della vita, giocoforza, un mistero incomprensibile, qualcosa che sta al di là del logos, legittimando così tutte quelle forme di irrazionalismo che trasformano la vita nel miracolo.

L’intento che soggiace tanto alla lettura di Achella quanto a quella di Ng è mostrare in che senso la focalizzazione sul concetto di vita sia ciò che consente a Hegel di elaborare un modello di ragione totalmente nuovo. Secondo la tesi di Achella, quella di Hegel sarebbe una ontologia vivente, ovvero una considerazione della realtà che proprio in quanto muove dalla vita si porrebbe al di là tanto di quelle forme di idealismo che tendono a costringere il mondo dentro le maglie della soggettività, quanto di quelle forme di realismo secondo le quali il mondo è già costituito in modo totalmente indipendente dal pensiero e dalla soggettività.

Altrettanto, secondo Ng non si tratta di mostrare che il pensiero è per Hegel qualcosa di simile alla vita, quanto che esso è una attività a tutti gli effetti vivente, dinamica e in continuo svolgimento. Sottolineare la centralità della nozione di vita consente a Ng di prendere le distanze da alcune interpretazioni della filosofia hegeliana che hanno segnato il dibattito degli ultimi anni in USA (la più influente delle quali è quella di Robert Pippin) che vedono in essa una netta contrapposizione tra il mondo della natura e il mondo dello spirito. Secondo Ng è invece proprio a partire dalla struttura autonormativa e autodeterminantesi della vita che si sviluppa il concetto di libertà e quindi il concetto stesso di spirito.

Entrambi i testi rimandano per certi versi a una questione cui fanno cenno e che però non discutono: pensare la vita come il concetto che fa da fulcro del modello di ragione sembra per molti versi piegare il pensiero di Hegel in direzione di alcunché di naturale e radicato nella naturalità della vita. Forse però questa sfida merita di essere percorsa: per mostrare in che senso il naturalismo hegeliano sia in grado di mettere in questione molti dei presupposti non discussi delle diverse forme di naturalismo filosofico, oggi così mainstrem.

Quello di Hegel, se si passa l’ossimoro, è una sorta di naturalismo antinaturalistico: antinaturalistico, in quanto costituisce una critica radicale alla metafisica del naturalismo, alla pretesa di ridurre la totalità della realtà alla dimensione dell’oggetto naturale; ma naturalismo, in quanto è una critica altrettanto radicale di ogni forma di supernaturalismo spiritualistico. Rispetto alle diverse forme di riduzionismo più o meno liberali che attraversano il naturalismo contemporaneo, Hegel direbbe forse che esse non sono sufficientemente e radicalmente naturalistiche, ovvero che proprio in quanto si muovono dentro un concetto astratto e limitato di natura non sono in grado di rendere conto di quella vita, di quella soggettività e di quella libertà che non sono l’altro dalla natura, quanto piuttosto la sua espressione più potente e deflagrante.