Figura misteriosa di scrittore, di Harry Kressing si sa pochissimo e quel poco che si conosce non è nemmeno sicuro. Americano, originario del Minnesota, pare abbia vissuto anche in Irlanda e in Inghilterra. Sembra scrivesse un romanzo ogni due anni, anche se sono giunti alla pubblicazione soltanto due racconti lunghi, riuniti in un unico libro, e un romanzo, Il cuoco (pp. 255, euro 16, traduzione di Liliana Coïsson Gambi) che ora, a oltre cinquant’anni dalla sua uscita le edizioni e/o rimandano in libreria.

Libro davvero particolare, affascinante e perturbante come pochi, il testo di Kressing, oltre ad avvincere chiunque lo prenda in mano, si presta, come pochi altri, a diversi livelli di interpretazione, sfuggendo sempre, però, a qualunque tentativo di ingabbiarlo in un qualsiasi genere. Comunque lo si tenti di definire – favola oscura, romanzo gotico, apologo nero – la storia del cuoco Conrad Venn eccede ogni tentativo di definizione, costringendo il lettore attento a porsi sempre nuove domande.

Il protagonista, alto, «estremamente emaciato, quasi cadaverico», dai lineamenti grifagni e il naso a becco, dalle orbite incavate e gli occhi penetranti – quasi una sorta di Mefistotele – giunge un giorno nella cittadina di Cobb e prende servizio come cuoco, appunto, presso la ricca famiglia degli Hill. Da quel momento in poi la vita dei suoi datori di lavoro, dell’altra potente famiglia, i Vale, una volta rivali e ora amici degli Hill, e di tutto il piccolo paese cambierà inesorabilmente. Utilizzando innanzitutto la sua abilità culinaria – facendo ingrassare o dimagrire le persone, rendendole felici o sottomesse – ma anche la sua determinazione e la sua capacità di colpire chiunque nel suo punto debole, Conrad sconvolgerà la vita di tutti, portando a compimento il suo misterioso progetto.

Con un inizio che sembra richiamarsi a Mary Poppins, ma una Mary Poppins virata in nero, con l’arrivo di un nuovo componente della servitù che muterà la vita di tutti in famiglia. Un epilogo a metà tra l’inferno dantesco ed Helzapoppin, il romanzo di Kressing può forse essere letto anche e soprattutto come una riflessione sul potere, nella sua accezione più larga e negativa. Come capacità, da un lato, di manipolare le persone, influenzare comportamenti e convinzioni, ma anche dall’altro, facendo emergere la sotterranea pulsione che genera piacere nel servire, nel sottomettersi, nell’essere dominato. E viene in mente, a tale proposito un capolavoro come lo Jakob von Gunten di Robert Walser.

Emergono, inoltre, gli impulsi più devastanti e autodistruttivi del dominio, quelli in cui la festa interminabile si lega alla visione infernale e in cui il potere mostra la sua faccia forse più feroce, portando al progressivo annichilimento chi pensa di detenerlo insieme all’intero mondo circostante. E come non pensare allora a La mascherata della morte rossa di Edgar Allan Poe?