Proprio in questi giorni sulle televisioni giapponesi imperversano delle previsioni molto particolari, ad essere mappato non è infatti il tempo meteorologico ma la fioritura dei ciliegi, fenomeno stagionale fra i più sentiti nell’arcipelago. Lo hanami, l’usanza di andare ad ammirare i fiori di ciliegio con amici parenti o colleghi bevendo o consumando un picnic, è così popolare che ha travalicato i confini del Sol Levante tanto da venir adottata come evento squisitamente giapponese in feste e celebrazioni un po’ in tutto il mondo, compresa anche la nostra penisola.

Nelle rappresentazioni mediatiche poi i sakura (ciliegi) e la loro fioritura sono spesso stati utilizzati come simbolo di rinascita e di risveglio della natura. Subito dopo il terremoto del 2011 ed il disastro nucleare di Fukushima poi, numerosi sono stati i documentari, sia prodotti in Giappone che fuori dal paese asiatico, che nel silenzio delle zone abbandonate a causa delle radiazioni o dello tsunami si sono soffermati sulla fioritura dei ciliegi, vivi e sbocciati nonostante il disastro. Questa fioritura allora, con tutto quello che culturalmente gira attorno ad essa, rappresenta un interessante punto nodale per avvicinarsi e cercare di capire certi aspetti del Giappone contemporaneo e come il paese cerchi di autorappresentarsi e se stesso ed al resto del mondo. Non è necessario scomodare Hobsbawm per comprendere come anche la tradizione dell’hanami sia il risultato di un processo storico neanche troppo antico, fino all’ottavo secolo infatti il fiore celebrato da poeti e letterati nel periodo primaverile era quello del prugno, peraltro un modo di onorare l’influenza culturale cinese. Se la fioritura ed il rapido sfiorire dei ciliegi sono certamente un simbolo che rappresenta il concetto di bellezza legato all’impermanenza così caro alla cultura nipponica, ma certamente non esclusivo del Sol Levante, è altrettanto vero come nella figura e nel simbolo che nei secoli il ciliegio è diventato, si possono anche rintracciare molti elementi del cosiddetto nihonjinron.
È questo un termine che definisce quell’insieme di testi e teorie divenute popolari specialmente nel dopoguerra che, semplifichiamo per comodità, mettono in luce ed amplificano la supposta unicità del Giappone e della cultura nipponica in relazione al resto del mondo. Ecco allora che frasi come «il cadere dei petali di ciliegio può essere apprezzato in maniera piena solo da chi è giapponese ed è nato su suolo nipponico» sono molto comuni e commenti simili si sentono spesso pronunciati dalla persona della strada come se questa fosse una verità «naturale».

Non si può certamente negare come l’impermanenza venga sentita in maniera molto presente e viva nel paese asiatico, visti i frequenti terremoti, tifoni e altri disastri naturali che colpiscono regolarmente l’arcipelago e considerando anche che il Giappone, come altri paesi asiatici, possiede una cultura edilizia del legno, con i suoi conseguenti rinnovamenti ciclici. Si cade nell’errore però e si rischia di fomentare una cultura implicitamente nazionalista quando queste caratteristiche legate al discorso sui ciliegi, un discorso che ricordiamo funziona qui da esempio più in vista e che potrebbe essere ampliato ad altri fenomeni «fortemente» nipponiche, si vogliono uniche del Giappone. E specialmente quando questa supposta unicità viene usata per creare una chiusura a riccio, «sindrome di Galapagos» come viene definita , che finisce per permeare l’arcipelago recidendo e negando ogni legame ed interscambio con culture e paesi diversi.

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