Si complica tutto. Sul terreno, sui tavoli della diplomazia. Il cessate il fuoco è solo un miraggio. Ieri pomeriggio dopo la tregua unilaterale attuata da Israele per qualche ora, seguita all’accettazione da parte del governo Netanyahu della proposta di tregua avanzata lunedì sera dall’Egitto, sono ripresi massicci i bombardamenti aerei su Gaza. In precedenza i palestinesi avevano lanciato una cinquantina di razzi, non solo Hamas ma anche il Jihad e i Comitati di Resistenza popolare. Droni e caccia F-16 hanno martellato la Striscia in più punti, polverizzando quattro palazzi. Le esplosioni hanno ucciso un anziano a Khan Yunis e un uomo a Zaitun (Gaza city). All’alba i bombardamenti aerei avevano ucciso a Rafah una donna e tre uomini a Khan Yunis. Un bombardamento terrificante che faceva temere altre vittime nel corso della notte, aggravando ulteriormente il già pesante bilancio di 197 morti e 1400 feriti palestinesi. Incessanti, specie al tramonto, anche gli spari di razzi palestinesi. Verso il sud e il centro di Israele. Hamas e Jihad hanno rivendicato il lancio congiunto di missili M 75 verso Tel Aviv dove sarebbero stati abbattuti dal sistema antimissile Iron Dome. Ad Ashqelon un Grad ha centrato in pieno un edificio senza causare feriti. E a Erez si è registrata la prima vittima israeliana dei razzi palestinesi. E’ stato ucciso un civile che stava rifornendo i militari israeliani al valico tra Gaza e Israele.

 

Morti e feriti palestinesi e israeliani ai quali vanno aggiunti quattro civili, di cui due donne, uccisi ieri all’alba da raid dell’aviazione israeliana nella regione del Golan siriano, da cui in precedenza erano stati lanciati due razzi sul versante occupato dalle truppe dello Stato ebraico. I jet israeliani hanno preso di mira una base dell’aviazione siriana nei pressi di Quneitra e un quartiere della stessa città dove si trova anche la residenza del governatore. Altri razzi erano stati lanciati lunedì notte su Israele dal Sinai e dal Libano. L’esercito israeliano ha risposto con 31 colpi di artiglieria sull’area nei pressi dei villaggi libanesi di Qleileh e Maalieh.

 

Netanyahu aveva convocato ieri sera una riunione d’emergenza del gabinetto di sicurezza per decidere, con ogni probabilità, nuove escalation militari contro Gaza. Il rifiuto del piano egiziano da parte di Hamas e il lancio di razzi durante la tregua di alcune ore osservata da Israele, hanno fornito al premier su di un piatto d’agento l’occasione per fare uso, ancora di più massiccio, del pugno di ferro. Sul fuoco dell’invasione di terra continuano a soffiare il ministro degli esteri Lieberman e quello dell’economia Bennett: entrambi hanno votato contro il cessate il fuoco proposto dagli egiziani quando ieri si è riunito il governo. «Israele vada fino in fondo. Dobbiamo mettere termine alla operazione quando Tzahal (le forze armate israeliane, ndr) avrà controllato la Striscia di Gaza», ha ripetuto anche ieri Lieberman che sembra conquistare appoggi nel governo alla sua tesi della rioccupazione di Gaza come unica soluzione della crisi. E più il ministro degli esteri e Bennett alzano la voce, più Netanyahu alza i toni. Il primo ministro, poco prima della riunione del gabinetto di sicurezza, ha sposato la causa della guerra totale a Gaza. Il rifiuto di Hamas dell’iniziativa egiziana per un cessate il fuoco, ha detto ai giornalisti, spinge Israele a «estendere» e «intensificare», le sue operazioni militari. «Una soluzione diplomatica sarebbe andata meglio, questo è ciò che abbiamo cercato di fare quando abbiamo accettato la proposta di tregua dell’Egitto. Ma Hamas non ci ha lasciato altra scelta, se non quella di ampliare e rafforzare la nostra campagna contro di esso». La guerra va avanti.

 

Una pioggia di accuse – ma non dai palestinesi della Striscia che vorrebbero la tregua ma più di tutto che Gaza non sia più una prigione – è caduta su Hamas perchè ha rifiutato il piano egiziano per il cessate il fuoco. Al di là dei giudizi sulla linea di azzardo militare che il movimento islamico sta portando avanti con enormi rischi per la popolazione, è fuor di dubbio che il Cairo ha giocato molto male al suo ingresso in campo dopo essere rimasto in panchina per lungo tempo. Gli egiziani l’altra sera hanno consegnato a tutte le parti coinvolte direttamente o indirettamente nel conflitto il testo del loro piano per un cessate il fuoco. A tutte ma non ad Hamas. «Abbiamo saputo di questa proposta dalle televisioni, nessuno ha preso contatto con noi», si è lamentato il portavoce del movimento islamista Sami Abu Zughri, che ha incontrato i giornalisti all’ospedale Shifa di Gaza city. I contatti sono poi avvenuti, tra l’intelligence egiziana e rappresentanti di Hamas ma l’iniziativa ormai è compromessa. Il Cairo, protestano gli islamisti palestinesi, ha proposto una riedizione dell’accordo di cessate il fuoco raggiunto nel 2012 che non sarebbe più aderente alla realtà sul terreno, anche per il mancato rispetto dei suoi punti da parte di Israele. Hamas vuole la riapertura totale dei valichi e libertà di movimento tra Gaza ed Egitto attraverso il terminal di Rafah. Punti sui quali non solo Israele ma anche l’Egitto difficilmente farà concessioni alla luce della guerra aperta che il Cairo ha proclamato ai Fratelli Musulmani, l’organizzazione madre di Hamas.

 

Pesano però anche le divisioni interne agli islamisti. L’ala militare, Ezzedin al Qassam, affiancata da uno dei fondatori di Hamas, il “falco” Mahmoud Zahar (non più isolato all’interno della leadership politica), spinge per continuare lo scontro con Israele, forte dei successi “strategici” conseguiti con il lancio dei missili verso le città israeliane più lontane da Gaza. L’ala politica, che fa riferimento al leader all’estero Khaled Meshaal e al suo vice Musa Abu Marzuk, è più favorevole al compromesso. Tra le due parti tenta la mediazione, con risultati modesti, l’ex premier del governo di Gaza Ismail Haniyeh.