Tra la metà dell’800 e i primi decenni del nuovo secolo era tutt’altro che raro che nei salotti borghesi d’Europa come degli Stati Uniti si affermasse con estrema convinzione dell’esistenza di «fantasmi» e altre «presenze» non proprio percepibili nell’esperienza quotidiana. Eppure, il punto era proprio questo: in base alla cosiddetta «religione scientifica» dell’epoca si riteneva che tutto ciò fosse non solo visibile, ma addirittura riproducibile attraverso i moderni ritrovati della fotografia, una tecnica inaugurata del resto pochi decenni prima e che ancora si muoveva in linea con le avanguardie artistiche e la sperimentazione più coraggiosa.

Né mancava chi, come Sir Arthur Conan Doyle, lo scrittore scozzese creatore di Sherlock Holmes che si diceva in grado di fotografare perfino «le fate», a partire da un’impostazione rigidamente razionale immaginava che questa porta verso l’ignoto o il soprannaturale si potesse in qualche modo varcare a proprio piacimento e, beninteso, in entrambe le direzioni. Frutto, tra gli altri elementi, di tempi incerti e di grandi e drammatiche trasformazioni che investivano l’Occidente, rendendo in particolare sempre più incerto il confine tra la vita le morte – inquietudini sociali, rivoluzioni scientifiche e tecnologiche, ma anche le stragi della Guerra civile americana e la carneficina del Primo conflitto mondiale -, questa attenzione per «gli spiriti» rinnovava sul piano culturale alcune delle caratteristiche del romanzo gotico, anticipando per altra via i linguaggi della narrativa di genere che sarebbe seguita: la science fiction, l’horror, il thriller.

TALE INTRECCIO ESPRESSIVO torna sovente negli ultimi anni in opere che intendono ricreare in qualche modo lo spirito di quei tempi, compiendo delle sortite all’insegna del romanzo criminale dentro una stagione dominata dall’inquietudine e da interrogativi che a ben guardare possono forse apparire non così lontani da quelli con cui si misurano le società contemporanee. Vanno in questa direzione due recenti titoli proposti da Neri Pozza che partecipano di un fenomeno più vasto e che comincia ad annoverare un numero crescente di autrici e autori.

Nel primo caso si tratta della nuova indagine dell’ispettore Valentine Verne, responsabile dell’Ufficio degli affari occulti della polizia di Parigi che intorno agli anni Trenta dell’Ottocento svolge il proprio compito in un contesto dove l’esoterismo e le sedute spiritiche occupano totalmente la scena. Al punto che la principale missione del particolare settore della sûreté, non proprio ufficiale, che Verne dirige, è spesso di far luce su questo o quel medium, come il discusso Paul Oblanoff su cui si trova ad investigare ne Il fantasma del vicario (traduzione di Maddalena Togliani, pp. 332, euro 19), il secondo volume della serie firmata da Éric Fouassier che in Francia ha riscosso un ampio successo di critica e di pubblico.

Esordio narrativo del giornalista della Bbc A. J. West, La meccanica degli spiriti (traduzione di Irene Abigail Piccinini, pp. 362, euro 18), sempre per il marchio editoriale vicentino, si muove sulle tracce del romanzo gotico per analizzare una vicenda realmente accaduta che nella Belfast del 1914 ruota intorno alla medium Kathleen Goligher e a William Jackson Crawford, un ingegnere che dopo un grave lutto finirà per abbandonare definitivamente lo scetticismo dell’uomo di scienza per abbracciare fino in fondo le idee della giovane occultista.

I FANTASMI CHE POPOLANO l’immaginario di Thomas Ligotti, il 70enne scrittore di Detroit considerato il principale erede di H. P. Lovecraft, non hanno invece bisogno di trovarsi in un qualche «altrove», seppure raggiungibile con appositi congegni o «poteri». Per lui, la vita stessa è permeata da una tale atmosfera da incubo che nulla più della realtà circostante può alimentare i nostri peggiori incubi. Anche Ligotti non rinuncia però alle sortite nei territori del mistero già attraversati dai suoi illustri predecessori, pur mantenendo la distanza e il freddo acume che ne caratterizzano da sempre il tratto.

Nel caso dei due racconti riuniti ne Il nesso spettrale (traduzione di Luca Fusari, il Saggiatore, pp. 107, euro 12), «Metaphysica Morum» e «La gente piccola», Ligotti offre la migliore illustrazione del suo personalissimo modo di varcare tali confini della percezione. In particolare, avventurandosi nei territori dei «piccoli», «una specie di pupazzetti testarotante», morbidi, anzi morbidissimi, in qualche modo delle «irrealtà mostruose». Figure dall’aspetto innocuo o anzi gradevole ma capaci di trasformarsi in una minaccia, quasi delle personificazioni mostruose dell’inquietante pantheon disneyano: fantasmi, per l’appunto, dell’orrore quotidiano.