Di rinunciare al potere, come l’intero paese gli chiede ormai da mesi, il presidente haitiano Jovenel Moïse non ne vuol proprio sapere. Mentre Haiti è in ginocchio, e un nuovo ciclo di proteste, l’ennesimo, paralizza le maggiori città, Moïse si tiene stretta la presidenza, lanciando e rilanciando inverosimili proposte di dialogo. È da ormai sei settimane, intanto, che nel paese scarseggia il combustibile, con conseguenze facilmente immaginabili: aumento del costo della vita, paralisi parziale dei trasporti e di ogni attività commerciale, code alle stazioni di servizio, contrabbando.

E a pagarne il costo è la grande maggioranza della popolazione che sopravvive con meno di due dollari al giorno. Una crisi, quella del carburante, riconducibile, da una parte, all’embargo imposto dagli Usa al Venezuela, che ostacola l’arrivo ad Haiti di combustibile a condizioni agevolate, e dall’altra a un disegno dello stesso governo Moïse, in cerca di una giustificazione all’eliminazione dei sussidi statali e all’aumento del prezzo dei combustibili. Esattamente ciò che aveva tentato di fare già a luglio del 2018, quando, su richiesta del Fmi, aveva annunciato l’aumento del 50% del prezzo dei carburanti, scatenando una disperata rivolta sociale che aveva portato al ritiro del provvedimento e alla rinuncia del primo ministro Jack Guy Lafontant.

Tuttavia, malgrado la radicalità delle proteste, la situazione resta al momento bloccata. Perché, come evidenzia il sociologo Lautaro Rivara, rappresentante della Brigada Dessalines di Solidarietà con Haiti, «il potere reale, quello che ha l’ultima parola» non risiede ad Haiti, ma all’estero. E prima di tutto negli Usa, che sostengono il governo in nome di una stabilità inesistente, ma in realtà per timore che a sostituirlo sia un nuovo governo «castro-bolivariano». All’interno del Core Group, il gruppo degli «amici di Haiti» di cui Usa e Ue fanno parte insieme ad altri paesi, qualcosa tuttavia si muove, come indica la riunione tenuta lunedì dal gruppo sia con gli alleati di Moïse che con il settore conservatore e moderato dell’opposizione, escludendo le forze progressiste recentemente riunite nel Foro Patriótico.

Con l’obiettivo, secondo Rivara, di «cambiare elementi ornamentali per garantire la continuità dello status quo». Magari arrivando anche a scaricare il presidente, ma di sicuro sbarrando la strada alle forze del cambiamento.