L’annuncio di un impegno italiano rinforzato sul fronte libico e una possibile missione di peace-keeping, sotto l’egida delle Nazioni unite, sono i temi al centro della visita del Segretario di Stato John Kerry a Roma di domani. Kerry avrà due colloqui bilaterali di rilievo in cui si discuterà anche delle crisi in Medio oriente: il primo con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov; il secondo con il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Nelle stesse ore, si sta svolgendo la quarta e forse decisiva offensiva dei militari libici, vicini al golpista Khalifa Haftar, per riprendere la capitale libica, Tripoli, sotto controllo del cartello che raggruppa le milizie filo-islamiste Fajr (Alba), con il sostegno dei jihadisti Scudo di Misurata. I soldati hanno preso il controllo dell’area di Beloun, a due passi dal porto di Bengasi, dove si sono asserragliati nelle ultime settimane i jihadisti di Ansar al-Sharia. Secondo fonti militari libiche, gli ultimi due mesi di combattimenti hanno provocato 450 morti e oltre duemila feriti. Solo negli scontri di giovedì, l’esercito ha ucciso 10 miliziani jihadisti. Tra le vittime, ci sono anche tre soldati. Sono 50 i morti negli scontri che hanno avuto luogo negli ultimi dieci giorni a Bengasi. Per settimane questi quartieri sono stati bombardati. Il portavoce di Haftar e dell’esercito nella Libia orientale, Mohamed El-Hejazi ha aggiunto che sarebbero stati mandati rinforzi dalle città di Tobruk e Ajdabiya a sostegno delle forze filo-governative a Bengasi.
Il premier filo-Haftar Abdullah al-Thinni ha confermato che i militari «sono alle porte di Ajaylat (a 80 km a ovest di Tripoli, ndr)». I militari sarebbero in procinto di riprendere Ras Jedir (al confine con la Tunisia, dove giovedì ci sono stati raid intensi dell’esercito).

Ieri le Nazioni unite hanno lanciato un allarme sulla presenza dei militanti di gruppi radicali in Libia, avvertendo che senza misure immediate tutta la regione del Sahel potrebbe confrontarsi con una minaccia gravissima. «Se la situazione in Libia non è messa presto sotto controllo – ha affermato l’etiope Guebre Sellassie, inviata speciale Onu nel Sahel, parlando al Consiglio di Sicurezza – molti Stati della regione potrebbero essere destabilizzati». Sellassie ha spiegato che le reti jihadiste e criminali attive in Libia hanno sviluppato rapporti in Mali e nel Nord della Nigeria, che si concretizzano, tra l’altro, in traffico di armi e di droga. Secondo i dati dell’inviata Onu, quasi 20 mila armi sono arrivate nel Sahel dalla Libia. Inoltre, gran parte delle 18 tonnellate di cocaina (per un valore di 1,25 miliardi di dollari) che arrivano nell’Africa occidentale transitano nella regione del Sahel. L’allarme riguarda anche il traffico di esseri umani, che nel 60% dei casi coinvolge minori.

Dal canto loro, gli islamisti nelle scorse settimane hanno tentato di fermare la nuova marcia di Khalifa Haftar su Tripoli con raid aerei che partono dall’aeroporto di Mitiga. Il capo dell’aviazione militare libica ha promesso nuovi raid per fermare gli attacchi dallo scalo. Qualche giorno fa, i militari vicini all’ex agente Cia, Haftar, che controlla il parlamento illegittimo di Tobruk, con l’avallo del Cairo, avevano annunciato l’avvio di un’operazione per liberare la capitale libica dalle milizie filo-islamiste. Haftar ha lanciato un ultimatum alle milizie Scudo di Misurata per lasciare la capitale. La procura di Tripoli ha risposto spiccando un mandato di arresto contro Haftar. Poche settimane fa la Corte suprema libica si era espressa per lo scioglimento del parlamento di Tobruk, eletto lo scorso giugno da una minoranza di libici, la cui sede si trova ancorata su una nave a largo delle coste di Bengasi, per le instabili condizioni di sicurezza.