A sua nipote Jane Austen raccomandava di non darsi troppo pensiero per la trama. Piuttosto, se davvero voleva scrivere un romanzo, doveva stare attenta alla credibilità dei personaggi. Meglio tenersi alla larga da soggetti straordinari e comportamenti inverosimili. Per questo, concludeva, il materiale migliore su cui lavorare erano poche famiglie in un paesino di campagna: una situazione che lei stessa riteneva deliziosa. Più o meno due secoli dopo si direbbe pensarla così anche Tessa Hadley, che al centro del suo ultimo romanzo mette una casa di campagna e ci porta in vacanza una famiglia: una sola, però multietnica e allargata. La casa appartiene alla famiglia da tre generazioni, è parecchio malconcia ma nessuno sembra disposto a investirci del denaro, la famiglia deve decidere se venderla o tenerla. Oltre che verosimili gli ingredienti risultano banali: tuttavia il libro è qualcosa di più che delizioso. È insieme profondo e magnetico e graffiante.
Pubblicato in Gran Bretagna nel 2015, nel frattempo l’autrice ha firmato la sua terza raccolta di racconti, Il passato (Bompiani «Narratori stranieri», traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, pp. 313, € 18,00) è il sesto romanzo di Tessa Hadley e la prima opera disponibile in lingua italiana. Stupisce, data la qualità della scrittura, un’attesa così lunga. Forse ha giocato a suo sfavore la forma in apparenza convenzionale delle storie che racconta, quella loro superficie così ordinaria e quotidiana, il perimetro intenzionalmente ristretto della pagina. Del resto Hadley ad aspettare è abituata: aveva quarantasei anni quando è uscito Accidents in the home (2002), il suo volume d’esordio. Ha confessato in molte interviste di avere incassato una lunga serie di rifiuti, anche di avere pensato spesso di rinunciare. A salvarla, ha spiegato, è stato un corso di scrittura frequentato all’università di Bath, lo stesso in cui l’insegnante oggi è lei. Finalmente aveva trovato qualcuno che la leggesse incoraggiandola a non accontentarsi. Soprattutto a cercare il suo personale spazio e la sua voce vera.
Tessa Nichols, questo il nome da ragazza, dopo la laurea a Cambridge ha insegnato in una scuola media: pare che tutte le mattine scoppiasse a piangere appena uscita di casa. Poi si è sposata con Eric Hadley e da Bristol lo ha seguito a Cardiff, dove vive ancora oggi. Sono nati tre bambini; lei ha cominciato a scrivere. Adesso dice di sentirsi grata per quel desolato periodo di silenzio, per tutti quei romanzi finiti e mai pubblicati: dice che solo così è riuscita a comprendere come non le interessi che raccontare la realtà. Nient’altro che storie comuni di persone comuni, la vita in una cittadina di provincia, normali famiglie borghesi con i loro normali legami che sono insieme di odio e di amore. Senza dubbio la forza della sua scrittura coincide con la sua illusoria inconsistenza, la grande originalità della sua prosa risiede nella potenza eversiva camuffata dall’aspetto rassicurante, in ogni caso tradizionale della vicenda narrata. Non c’è da meravigliarsi che la sua tesi di dottorato, divenuta un libro proprio nell’anno dell’esordio, fosse dedicata a Henry James.
Quale storia racconta Il passato? Soprattutto come la racconta? «Le cose più importanti sono quelle che restano fuori dal nostro controllo», ha dichiarato Hadley in un’intervista di qualche anno fa. «Ciò che conta non è quello che si svolge nella nostra vita interiore. È quello che facciamo di quanto ci accade. Quello che non possiamo prevedere. Alla fine, quando ci guardiamo indietro, la vera prova sono questi eventi accidentali, molto più concreti di quelli che avevamo programmato». Nella casa di Kington la scrittrice riunisce tre sorelle: hanno tra i cinquanta e i quarant’anni, una è madre di due bambini che ha portato con sé. Per semplificare si potrebbero definire in ordine di apparizione la sognante Alice, la riservata Harriet, la pratica Fran (purtroppo non Heather né Fern, così una bizzara ispirazione botanica, magia dell’ambientazione campestre, ha trasformato i loro nomi nel primo risvolto di copertina). Arriverà poi anche l’unico fratello Roland, filosofo di successo e padre di una figlia adolescente allungata sul sedile posteriore della Jaguar. Ha una moglie nuova di zecca, l’argentina quanto sofisticata Pilar: insieme al figlio dell’ex-fidanzato di Alice, il ventenne Kasim di ottime speranze e origini indiane, Pilar è la chiave che dall’esterno mette in moto il delicato congegno dei rapporti famigliari. Anche la miccia che fa divampare le fiamme covate a lungo sotto una stagnante superficie d’acqua.
Hadley racconta la disillusione, l’inganno e il desiderio servendosi di uno stile lussureggiante e morbido, flessuoso: scava però dentro il cuore dei propri personaggi con un’empatia così acuta da registrarne ogni sbalzo emotivo, ogni oscillazione psichica e alternanza di umore. Il suo lessico è implacabile, benché radente, nel rendere quasi tattile la variabile atmosfera dei legami. Usa punti di vista multipli, un discontinuo indiretto libero per comporre una storia corale in cui l’occhio dell’autore mantiene tuttavia il suo obbiettivo fisso. La struttura è tripartita: in mezzo alla sequenza lineare del presente Hadley incunea una scena recuperata dal passato, quando i fratelli erano bambini e Fran non era ancora nata. Cucito dentro la trama con un filo impalpabile ma solido di allusioni e richiami, lo scampolo fornisce al tessuto della vicenda uno spessore nuovo completandone il disegno. Questo ritratto di famiglia in un interno doppio – non meno importante della casa apparirà infatti un vecchio cottage in rovina – diventa così narrazione del passaggio e della crescita, delle occasioni perdute, di strade mai imboccate. Non sappiamo se la casa sarà venduta, né se la madre dei fratelli avrebbe avuto una vita più felice rimanendo a Kington quando aveva lasciato suo marito. Eppure, è il sortilegio della scrittura di Tessa Hadley, a noi sembra di sapere proprio tutto, quello che è accaduto e anche quello che avrebbe potuto accadere. Perfino quello che accadrà.