Quali sono le caratteristiche che possano definire un maestro? Si incontrano pochissime persone in grado di insegnare cose importanti per tutta la vita; questi sono i maestri verso i quali si è riconoscenti. Se poi hanno insegnato ai loro allievi il pensiero critico, allora il limite della riconoscenza viene superato in direzione di quel «für ewig», per l’eternità che tanto era perseguito, e raggiunto, da Gramsci.

PENSIERO CRITICO, ossia formulazione di giudizi che, partendo dall’analisi del mondo e di quante e quanti in esso vivono, producano atti che possano realizzare un cambiamento dello stato presente delle cose. È questa una delle ottiche in cui leggere la silloge di scritti di István Mészáros intorno a Lukács (Lukács. Maestro di pensiero critico, a cura di Antonino Infranca, a cui si deve anche la prefazione, e di Roberto Mapelli, autore della postfazione, Edizioni Punto Rosso, pp. 380, euro 25).
Mészáros (1930-2017) è stato prima allievo e poi assistente del grande filosofo ungherese (si veda nell’appendice dell’antologia l’intervista del 1983), partecipò alla rivoluzione del 1956 e, proprio in seguito a quella partecipazione, dovette fuggire prima in Italia (dove si sposò imparando a parlare correntemente la nostra lingua) e, poi, in Inghilterra. Insegnò in Scozia, in Canada e, in ultimo, nell’università del Sussex della quale divenne professore emerito. Proprio le Edizioni Punto Rosso hanno pubblicato, nel 2016, la sua opera più ponderosa e poderosa, Oltre il Capitale. Verso una teoria della transizione, della quale i capitoli dal sesto al decimo, in quanto dedicati a Lukács, sono riproposti nella silloge a costituirne l’intera seconda parte intitolata Con Lukács oltre il Capitale.
Nel rapporto maestro-allievo, affrontato nelle forme più disparate, dalla filosofia alla politica, dalle questioni di metodo all’etica, emerge l’atteggiamento di ossequio e di rispetto di Mészáros nei confronti di Lukács che non si trasforma mai, però, nella santificazione del maestro, anzi, come fa presente Infranca, anche Lukács è destinato a essere criticato dall’allievo. Lo ricorda Mapelli sottolineando come l’allievo contribuisca in modo decisivo alla «scoperta di nuovi sentieri di analisi e interpretazione» nell’opera del maestro. Ciò è evidente nella definizione di Lukács come «filosofo del tertium datur» (il primo saggio della raccolta), ossia del pensatore, consapevolmente marxista, alla ricerca di una terza via fra irrazionalismo, con tutte le sue varianti filosofiche, e stalinismo; terza via individuabile nella dialettica, unica possibilità di sopravvivenza, non soltanto fisica ma anche teoretica, in un’epoca fortemente segnata dallo stalinismo che ottenebrava le capacità espansive della razionalità dialettica.

NON PER NULLA, scrive Mészáros, «i problemi della dialettica occupano un posto centrale nel pensiero di Lukács» al punto che alcune delle sue opere maggiori propongono la questione nei sottotitoli e, sottolinea l’autore, anche l’Ontologia dell’essere sociale, l’ultima grande opera sistematica del filosofo ungherese, «ruota intorno ai problemi della dialettica» (si veda nell’antologia Il concetto lukácsiano di dialettica). Eppure Mészáros non trascura quelli che furono gli amori intellettuali giovanili del maestro e ricorda come il Lukács del 1909 coglieva nella poesia di Endre Ady «la passione elementare di un rivoluzionario democratico».
Nel saggio Coscienza di classe contingente e necessaria, partendo da Marx e da Gramsci, richiamandosi a loro continuamente, Mészáros sottopone a critica il riferimento di Lukács a una coscienza «presunta» del proletariato come se essa fosse un fatto esclusivamente oggettivo. La coscienza di classe, fa presente l’autore, oltre a essere un fatto inevitabile, è necessaria come motore di qualsivoglia trasformazione dello stato presente delle cose, sia nel senso della condizione oggettiva di esistenza sia in quello dell’assunzione di una consapevolezza soggettiva di vivere con gli altri; ossia, come scriveva Gramsci nel §67 del Quaderno 11, da questa consapevolezza «si realizza la vita d’insieme che sola è la forza sociale, si crea il “blocco storico”». Proprio quello che avrebbe auspicato Lukács scrivendo che la coscienza di classe trova il suo superamento nell’universale riconoscimento della propria appartenenza al genere umano; come a dire la promozione di una coscienza della totalità dell’umanità che richiede uguali diritti per tutte e per tutti.

QUINDI DI NUOVO il tertium datur, ossia un socialismo possibile nelle forme di un nuovo umanesimo, cioè oltre il modello di quello realizzato, e fallito (che Mészáros definisce «sistema capitalistico di tipo sovietico»), ma anche oltre modelli di socialdemocrazia incapaci di porsi anche soltanto nella semplice prospettiva di un riformismo, peraltro astratto. Si può, quindi, restare fedeli agli insegnamenti del maestro anche senza condividere tutti gli aspetti del suo pensiero, ma rimanendo fedeli ad un’etica della trasformazione in quanto opposizione allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna, alla quale etica il grande filosofo marxista mai rinunciò.