Tutta colpa di chi controlla Gaza, tutta colpa di Hamas. È secco il giudizio di Jason Greenblatt, l’inviato di Trump in Medio oriente, sulle cause delle spaventose condizioni in cui versa la Striscia di Gaza. Nessuno spazio per le responsabilità di Israele e dell’Egitto o per l’occupazione, nessun riferimento ai bombardamenti di Israele che nel 2014 hanno ridotto in macerie migliaia di case, nessuna considerazione per il blocco terrestre e navale che soffoca la Striscia. Tutta colpa degli islamisti e dei loro razzi anche se da tre anni non li lanciano più. «Hamas ha sostanzialmente danneggiato la popolazione di Gaza – ha affermato Greenblatt – e i palestinesi che vivono a Gaza devono fronteggiare delle difficoltà a causa dell’impegno di Hamas in attività terroristiche». Perciò ha sollecitato il ritorno di Gaza sotto il controllo dell’Anp sorvolando sulla stretta decisa dal presidente Abu Mazen che ha tagliato stipendi e sussidi agli ex dipendenti pubblici e i finanziamenti al settore dell’energia per costringere Hamas alla resa. Sino ad oggi queste misure hanno colpito solo la popolazione civile. Parole quelle di Greenblatt che escludono altre intepretazioni della condizione di due milioni di palestinesi chiusi in quella che, giustamente, viene chiamata la «prigione a cielo aperto più grande del mondo». Ben diverse sono state le dichiarazioni del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, entrato due giorni fa a Gaza.

Guterres ha chiesto con forza la «rimozione» della «chiusura» della Striscia. «Sono molto scosso di essere qui oggi, sfortunatamente testimone di una delle più drammatiche crisi umanitarie a cui ho mai assistito in tanti anni di lavoro all’interno delle Nazioni Unite…(è necessario) un programma di interventi per migliorare le condizioni di vita del popolo palestinese», ha commentato Guterres parlando a Beit Lahiya in una scuola dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi. Occorre, ha aggiunto, «riaprire ciò che è stato chiuso…È importante aprire le chiusure in linea con la Risoluzione 1860 del Consiglio di Sicurezza». Poi si è rivolto alla comunità internazionale. «La soluzione dei problemi del popolo di Gaza non è umanitaria», ha sottolineato richiamando quanto aveva detto negli incontri avuti a Gerusalemme con il premier israeliano Netanyahu e a Ramallah con Abu Mazen. «Il mio primo appello – ha concluso – è all’unità: Gaza e Ramallah sono parti della stessa Palestina. Per questo, in linea con i principi dell’Olp, invoco unità. Le divisioni non fanno che minare la causa del popolo palestinese». Il secondo appello è stato per la realizzazione della soluzione a Due Stati attraverso «un processo politico credibile».

Le parole di Guterres serviranno a scuotere una comunità internazionale indifferente verso la condizione di Gaza e la questione palestinese? Spingeranno l’Anp di Abu Mazen e Hamas a mettere da parte la loro inutile lotta per il potere e a ricostruire l’unità palestinese? I dubbi sono forti e gli abitanti di Gaza non riescono neppure ad immaginare la fine del blocco e la riconciliazione tra palestinesi, mentre le misure decise da Abu Mazen per colpire Hamas aggravano la crisi umanitaria conseguenza diretta di quella politica. A Gaza si va avanti con due-tre di elettricità al giorno, con l’acqua che in gran parte non è potabile secondo gli standard dell’Oms, con un sistema sanitario che vacilla, con una disoccupazione da record mondiale, con una economia in ginocchio – è sufficiente girare per la Striscia per rendersene conto – anche se qualche “esperto”, misurando il Pil, la vede in crescita. Gaza sopravvive solo grazie agli aiuti umanitari garantiti, sino ad oggi, dalle agenzie dell’Onu e dalle Ong internazionali. La realtà è questa. E accanto alla miseria diffusa, alla mancanza di lavoro, alle distruzioni, cresce la disperazione. L’aumento dei suicidi è sensibile, qualche giorno fa un altro ragazzo si è tolto la vita. Ma la colpa, ci spiega Greenblatt, è solo di Hamas, in definitiva degli stessi palestinesi.