Quasi tutti i mass-media italiani hanno ignorato la scomparsa di Gunther Schuller il 21 giugno ad ottantanove anni, dimenticando colui che è stato cornista, compositore, direttore d’orchestra, didatta, musicologo, revisore e trascrittore di musica antica, editore di quella contemporanea: un autentico protagonista della vicenda sonora, culturale ed istituzionale del jazz e della musica classica americana.

Era un uomo che amava la musica a 360 gradi: arguto, ironico, coltissimo (dieci lauree ad honorem), brillante nella conversazione anche in un italiano che, come amava dire, aveva iniziato a studiare attraverso il melodramma. Gunther Schuller seguì rigorosi studi classici ed a diciannove anni era già primo corno della Metropolitan Opera Orchestra diretta da Toscanini; coltivò, in contemporanea, una forte passione per il jazz. Il caso volle che come cornista partecipasse alla seduta di incisione di Birth of the Cool, guidato da Miles Davis e vicino a musicisti quali John Lewis e Lee Konitz. È stato un importante compositore (duecento i suoi lavori) come attestano i numerosi riconoscimenti: il W.Schuman Award della Columbia University alla carriera nella composizione (1988); il premio al genio della MacArthur Foundation (1991); il Pulitzer per la partitura Of Reminescences and Reflections, scritta per la Louisville Symphony (1994).

Non era da meno come direttore d’orchestra: in Italia (rispettivamente a Palermo e a Pescara) diresse l’opera «magna» di Charles Mingus Epitaph (che ha ampiamento contribuito a ricostruire, lavorando sulle partiture originali; prima esecuzione 1989, al Lincoln Center di New York) e Porgy and Bess nell’arrangiamento di Gil Evans, solista Paolo Fresu (rassegna organizzata dalla Sisma, guidata da Marcello Piras che ben conosceva il Maestro ed ha tradotto le sue opere).

Schuller, tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60, teorizzò e praticò il jazz della «terza corrente», quella ambiziosa e visionaria «third stream music» che voleva unire il linguaggio più avanzato del jazz con le conquiste della musica contemporanea (collaborò con Bruno Maderna).
Il riuscito manifesto fu l’album del 1960 Jazz Abstractions, in cui il compositore americano coinvolse musicisti del calibro di Ornette Coleman, Scott LaFaro e Jim Hall. In contemporaneo si dedicò alla didattica e fu a lungo direttore del New England Conservatory, occupandosi anche della musica di Scott Joplin. Nella seconda metà degli anni Settanta

Schuller diede alle stampe Early Jazz, prontamente edito da A.Mondadori nel 1979 e poi ripreso dalla Edt insieme ai testi successivi (traduzione e curatela di Piras). Seguiranno altri cinque volumi che illumineranno con luce analitica e circostanziata il jazz dalle origini fino alle big-band degli anni ‘40. Schuller, da musicista e musicologo, partiva dall’ascolto e dalla trascrizione dei brani e strutturò il suo lavoro su una base di accurata analisi.

In questo modo affermò e provò la grandezza della musica afroamericana spazzando via agiografia, aneddotica e mitologia, mettendo in evidenza linguaggio musicale e storia. Le sue pagine gettarono una luce definitiva che collocava il jazz tra le grandi musiche del ‘900, a fianco della musica classica. Schuller univa al rigore analitico la chiarezza e l’efficacia, a tratti narrativa, della scrittura. Nelle frasi a volte «scultoree» trasparivano profonda conoscenza ed amore per il jazz. Una grave perdita, lenita dalla ricca eredità culturale lasciataci.

luigi.onori@alice.it