È uno degli appuntamenti più interessanti di «Le strade del paesaggio», Festival del fumetto in programma fra il 9 e il 25 ottobre a Cosenza quello con il cartoonist capitolino Stefano Piccoli. Il suo ultimo lavoro Guerrilla Radio – Vittorio Arrigoni, la possibile utopia, targato Round Robin Editore e in uscita a giorni, è incentrato sulla figura dell’attivista ucciso a Gaza nel 2011. L’autore del volume racconta la genesi di questo nuovo progetto all’insegna del «comic journalism» nato con la collaborazione della famiglia di Vik.

Con «Guerrilla Radio» hai azzardato un salto in contesti narrativi molto distanti da quelli abituali. È facile immaginare la difficoltà di «entrare nel personaggio». 

Ho speso oltre un anno per «appropriarmi» della vita di Vittorio e capire quali fossero davvero le cose da raccontare e quelle superflue. Poi mi sono «allenato» a disegnare ambientazioni che restituissero verosimiglianza alla Palestina. Ma a rallentarmi, in realtà, è stato il timore di raccontare questa storia. Il timore del giudizio e della reazione di fronte a un fumetto che nasce da una vicenda reale, non da una fiction. Questo, non tanto rispetto al lettore generico, ma rispetto ai familiari di Vittorio, ai suoi amici, a coloro che lo conoscevano e lo apprezzavano, magari per aver condiviso il proprio percorso con lui.

Mi pare di capire che la famiglia Arrigoni ti abbia supportato molto nella realizzazione del volume. Raccontaci com’è andata 

Prima di cominciare a lavorare, ho contattato la madre di Vik, Egidia Beretta, che su di lui ha già scritto Il viaggio di Vittorio ( Baldini & Castoldi, 2013), e sua sorella Alessandra. Non avevano mai avuto esperienze nel campo del fumetto. Ma una volta entrate nel meccanismo, mi hanno appoggiato al 100%! Con Alessandra mi ci sono incontrato di persona, illustrandole per bene tutto il progetto. Con la signora Egidia ho invece instaurato un fitto rapporto epistolare e telefonico attraverso il quale ha potuto supervisionare l’intero libro tavola per tavola, ogni capitolo, ogni dialogo. Intervenendo su alcune correzioni dei testi, se necessario. E mi ha scritto l’introduzione.

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A parte il lavoro di Vittorio Arrigoni, qual è l’aspetto dei contributi esterni raccolti durante la lavorazione che ti ha sorpreso di più?

Non saprei dirtelo, considerando che ogni contributo arricchisce e completa il libro. I primi ad accettare sono stati Maso Notarianni e il fumettista Claudio Calia. Ma la disponibilità è stata unanime. Quindi il volume ospita le firme di musicisti come Zulù della 99 Posse, reporter come Barbara Schiavulli, Filippo Golia della Rai e Mirka Garuti, con un lungo pezzo che ripercorre tutte le sedici udienze del processo Arrigoni, amici di Vik come Gabriele Corno e Meri Calvelli, rapper come Kento e vignettisti come Carlos Latuff. C’è anche Michele Giorgio de il manifesto, presente con i suoi scritti per ben tre volte.
Dall’assassinio di Vik sono passati quattro anni, ma la situazione in Palestina è rimasta pressoché immutata. Qual è la tua opinione sulla scena politica attuale? 

È la stessa che avevo nel 2009 durante Piombo Fuso. La stessa che avevo la scorsa estate durante Margine Protettivo.
La stessa di sempre, in termini di colonizzazione israeliana. Fintanto che esisteranno quei sessanta chilometri di muro e filo spinato e quel blocco navale imposto a sei miglia nautiche dalla costa di tutta la Striscia, fintanto che non verranno rispettati gli accordi di Oslo del 1994, le numerose risoluzioni dell’ONU e i diritti umani dell’intera popolazione palestinese (nella maggior parte dei casi nemmeno legata ad Hamas), la mia posizione verso la politica dello Stato d’Israele non potrà cambiare.
E come Vittorio, sostengo anche io la soluzione dei due Stati.