Dietro la tragedia delle centinaia di vittime migranti nei naufragi davanti alle coste libiche, c’è il caos della guerra tra milizie. Perché in Libia si continua a combattere. Nel mirino del generale Khalifa Haftar sono ora i jihadisti di Ansar al-Sharia che hanno conquistato le basi militari della seconda città libica, proclamando l’Emirato di Bengasi nell’agosto scorso. Ieri tre soldati filo-Haftar sono rimasti uccisi in un nuovo assalto di Ansar al-Sharia all’aeroporto di Bengasi, mentre altri 12 militari delle forze speciali sono rimasti feriti. Il gruppo radicale, che si era reso responsabile dell’uccisione dell’ambasciatore Usa Chris Stevens nel settembre 2012, conta un morto e quattro feriti. La scorsa settimana, anche Zeyad Balaam, comandante del battaglione Moqhtar, ha subìto un attentato al quale è sopravvissuto. Alcuni uomini armati non identificati hanno aperto il fuoco contro il suo convoglio.

Per mettere sotto scacco i jihadisti e impedire nuove forniture di armi via mare, il generale Khalifa Haftar, principale autore del tentato golpe nello scorso maggio, sostenuto dai miliziani di Zintan e dal governo dell’ex ministro della Difesa, Abdullah al-Thinni, ha chiesto alle autorità portuali di chiudere il porto di Bengasi. La sede provvisoria dell’esecutivo, entrato in carica dopo le contestate elezioni del 25 giugno, ormeggia in un’imbarcazione greca a noleggio al largo di Tobruk in Cirenaica. Nell’autunno del 2013, il cargo Morning Glory era stato rifornito di greggio dai secessionisti della Cirenaica, innescando la crisi politica che costò la testa dell’ex premier, vicino ai Fratelli musulmani, Ali Zeidan, volato in Germania.

Non solo, ieri mattina, alcuni caccia non identificati hanno eseguito nuovi raid contro le postazioni delle milizie islamiste a sud di Tripoli. Da parte sua, il premier Abdullah al-Thinni ha accusato il Qatar di aver inviato tre aerei militari con armi all’aeroporto della capitale, conquistato lo scorso agosto dalle milizie filo-islamiste di Misurata. Secondo il Pentagono, Egitto ed Emirati arabi uniti, vicini al generale e ex agente Cia Haftar sarebbero dietro i raid aerei su Tripoli dei giorni scorsi.

E così il rappresentante speciale dell’Onu per la Libia, Bernardino Leon, non ha nascosto la sua preoccupazione: «La Libia non è mai stata così lontana dal realizzare le aspirazioni per un futuro migliore». Il paese, dopo il tentato golpe perpetrato dall’ex agente Cia, nel maggio scorso, è divisa tra governo filo-islamisti di Tripoli ed esecutivo di Abdullah al-Thinni, al fianco del golpista Khalifa Haftar (promotore dell’Operazione Dignità), asserragliati nella città orientale di Tobruk. Dopo il giuramento di al-Thinni, i militari vicini all’ex agente Cia, hanno promesso una nuova offensiva su Bengasi, in parte nelle mani dei gruppi jihadisti (Ansar al-Sharia che hanno proclamato l’Emirato di Bengasi). Sebbene i jihadisti tengono in pugno Bengasi, le milizie Scudo di Misurata, che controllano il parlamento di Tripoli, continuano a dissociarsi dalla battaglia dei jihadisti di Ansar al-Sharia, responsabili dell’attacco del settembre 2012 al Consolato Usa a Bengasi. I miliziani Scudo difendono la legittimità degli islamisti moderati che hanno la maggioranza nel parlamento di Tripoli (decaduto ma ancora in carica, i deputati non riconoscono le elezioni del 25 giugno scorso).

A conferma dell’attuale somalizzazione della crisi libica, ci sono le 1700 milizie, vicine sia ai jihadisti sia ai militiari, che si combattono sul campo. Il consiglio della Lega araba aveva chiesto la scorsa settimana la fine delle forniture di armi da parte di paesi stranieri alle milizie che operano in Libia. La principale organizzazione regionale ha fatto anche appello all’avvio al dialogo nazionale e alla rinuncia della violenza. In particolare nell’occhio del ciclone sono finite le furniture di armi alle milizie jihadiste provenienti dal Sudan. Eppure, secondo varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani, sono proprie le milizie le principali responsabili delle violenze, hanno preso in ostaggio persone, dato alle fiamme e distrutto case. Non solo, dopo la cruenta battaglia dell’aeroporto di Tripoli, in cui hanno perso la vita almeno 200 persone, tra jihadisti e Zintani, una decina di aerei commerciali, che potrebbero essere usati in attacchi terroristici, sarebbero spariti nel nulla.