La minoranza ex renziana del Pd non depone le armi. Dopo che Zingaretti alla direzione di lunedì ha fissato le primarie per il 2023, ieri è partita la contraerea: «Serve un congresso vero, appena le condizioni della pandemia lo consentiranno», ha detto Lorenzo Guerini aprendo ieri l’assemblea di Base riformista. «Non si può dare l’idea di respingere la richiesta di un cingresso come se fossimo chiusi in un fortino, come se si fosse assediati», la stoccata rivolta al Nazareno.

Sulla stessa linea anche Andrea Marcucci e Luca Lotti, gli altri big della corrente. «Io lo voglio prima il congresso, entro la fine dell’anno», ha rincarato Marcucci, che è tornato a chiedere le dimissioni da vicesegretario di Andrea Orlando, appena promosso ministro.

Di qui all’assemblea dem del 13 e 14 marzo dunque la minoranza continuerà a battere sul tasto congresso. Minacciando di interrompere la gestione unitaria che ha caratterizzato l’era Zingaretti (ci sono in segreteria esponenti riformisti come Emanuele Fiano, Caterina Bini e Carmelo Miceli ).

Le accuse rivolte al Nazareno sono sostanzialmente due: «C’è una linea che vira a troppo sinistra e nega il dna fondativo del Pd». Secondo: «Il governo Draghi non lo possiamo subire, c’è il rischio che la sua agenda, che dovremmo rivendicare pienamente, ci venga scippata da altri partiti». I riformisti lanciano dunque «l’allarme» per «il rischio di un declino del Pd» e sottolineano «l’urgenza di un suo rilancio politico, identitario e programmatico».

Beppe Fioroni sintetizza con una battuta: «Veltroni ci propose di fare il partito di Kennedy, non vorrei che diventasse quello di Togliatti». E Miceli (responsabile sicurezza) in serata mette già sul tavolo le dimissioni dalla segreteria: «O si fa il congresso o almeno non si ci tolga la libertà di parlare. Altrimenti c’è la sensazione di voler essere cacciati». Lotti va giù duro: «Vorrebbero che ce ne andassimo».

L’eventualità di una vicesegretaria di Base riformista viene messa in secondo piano: «Se non c’è accordo sul congresso entro fine anno, il segretario gestirà il partito da solo», spiegano fonti di quell’area. In pole position per Base riformista c’è Alessia Morani (vicina a Luca Lotti), visto che l’altra papabile Simona Malpezzi (tendenza Guerini) è stata appena riconfermata al governo. Ma l’ipotesi di una pace armata è destinata a sfumare se, come pare, Zingaretti non concederà le primarie quest’anno.

Ma lo scontro potrebbe alzarsi di livello. In Senato, dove Marcucci da capogruppo è stato spesso fuori linea, si parla con insistenza della sua sostituzione con Anna Rossomando, anche in omaggio alla parità di genere. Lei ieri ha usato il bazooka: «Le reazioni alle parole di Zingaretti sulle primarie potrebbero dare l’impressione che il vero tema per molti non sia la linea politica o il perimetro delle alleanze, ma ristabilire quote e pesi in vista della composizione delle liste».

E ancora: «Zingaretti si è mosso all’insegna della gestione unitaria e della collegialità, un metodo molto diverso da quello adottato per le liste nel 2018 (cioè da Renzi, ndr)». Michele Bordo attacca Marcucci: «Stupisce che chieda le dimissioni di Orlando a non quelle di Renzi dopo il caso Arabia».

Se gli ex renziani gli contestano l’eccessiva vicinanza al M5S, Zingaretti risponde allargando la sua maggioranza alla Regione Lazio ai grillini (con il prossimi ingresso di due assessori tra cui Roberta Lombardi). «Questa decisione guarda al futuro», ha spiegato ieri alla direzione regionale dem che ha votato sul tema. «L’obiettivo è un grande Pd in un’alleanza competitiva». Gli esponenti locali di Base riformista non hanno partecipato al voto.