Una enorme colata di fango ha trascinato e sepolto centinaia di abitazioni in Guatemala, alla periferia della capitale. Da giovedì scorso a oggi, le vittime accertate sono 131 e oltre 500 gli scomparsi. Intere famiglie sono state distrutte. E mentre si piangono i morti, sono sempre più esili le speranze di ritrovare in vita qualcuno. Le piogge che continuano a cadere complicano il lavoro dei soccorritori e dei cani addestrati, fatti venire dal Messico. La frana ha colpito una delle zone più povere di Città del Guatemala, dove vivono in condizioni precarie circa 300.000 persone.

Una tragedia annunciata. Il 5 novembre del 2014, la Coordinadora Nacional para la Reduccion de Desastres (Conred) aveva messo in guardia il municipio di Santa Catarina Pinula sul grave rischio a cui era esposta la comunità El Cambray 2. E, a dicembre del 2014, aveva dichiarato inabitabile la zona. Già nel 2001, El Cambray 2 risultava un’area ad alto rischio e già allora il suggerimento era stato quello di trasferire le famiglie in altra sede e in abitazioni adeguate. Ma in un paese di fortissime disuguaglianze sociali, dove la ricchezza è concentrata in poche mani e le multinazionali estrattive o quelle che coltivano la palma africana calpestano impunemente i diritti delle comunità, la vita di El Cambray 2 non era certo fra le priorità.

Nell’ultima campagna elettorale, le destre hanno speso somme spropositate per riconfermarsi alla guida di un paese in cui oltre la metà della popolazione sopravvive a malapena, e il rischio di vita per sindacalisti e giornalisti è altissimo.

I nomi delle 1200 imprese nazionali e transnazionali coinvolte nella corruzione doganale, che scavano e devastano a proprio piacimento, che rubano e distruggono le terre, non sono comparsi nelle indagini che hanno portato in luce uno dei tanti scandali per tangenti – la Linea. Il processo, voluto da Washington e promosso da una commissione d’inchiesta Onu, la Cicig, ha portato in carcere l’ex presidente guatemalteco Otto Pérez Molina, responsabile – secondo i giudici – di una monumentale truffa e appropriazione di fondi pubblici attraverso l’Istituto per la sicurezza sociale.

Le elezioni del 6 settembre si sono svolte all’ombra di questo scandalo e delle ripetute manifestazioni che hanno portato in piazza per mesi migliaia di persone. Una fotografia della situazione politica e dei gruppi di potere in cui si concentra la gestione del sistema è data dal numero di famiglie che si sono presentate al voto: interi clan famigliari – 19 in totale – distribuiti nei principali partiti.

Il 25 ottobre ci sarà il ballottaggio per le presidenziali. Il più votato al primo turno è risultato un noto comico televisivo, Jimmy Morales, sostenuto dai circoli militari di estrema destra eredi della sanguinosa guerra civile, durata 36 anni e terminata nel 1996. Al secondo posto, quella che potrebbe convertirsi nella prima donna presidente del paese, la progressista Sandra Torres, ex moglie dell’ex presidente Alvaro Colom. Torres promette qualche piano sociale rivolto ai meno favoriti, in linea con quanto tentato durante il governo dell’ex marito, tra il 2008 e il 2012: «La povertà è un male che colpisce tutta la società», ha dichiarato e ha indicato la corruzione come uno dei fattori che la approfondiscono.

Ma in molti, durante le proteste popolari di questi mesi hanno chiesto un vero cambio di paradigma che consenta di affrontare le storture alla radice. E diversi analisti, a sinistra, hanno messo in guardia circa la «tutela» esercitata da Washington attraverso la Cicig e la lotta alla corruzione: un tentativo di cambiare referenti politici per disinnescare la polveriera centroamericana.