Pierfrancesco Majorino (eurodeputato Pd, ndr), la sinistra del Pd esulta in cuor suo per la fuoriuscita di Renzi?
No, e non lo dico per la retorica del dispiacere che fanno tutti in un’occasione simile. C’è bisogno di rafforzare i processi unitari. E una storia così diversa dalla mia, quella di Renzi, e proposte spesso molto differenti devono confrontarsi con una parte più di sinistra. Io ho creduto davvero alla nascita del Pd e per questo oggi non sono felice. Ma comunque: ora non bisogna drammatizzare né praticare lo scontro su ciò che è fatto. Prendiamone atto e andiamo avanti.

Il confronto fra proposte differenti non si può fare anche dentro una coalizione, tanto più che ci avviamo verso un sistema elettorale proporzionale?
Le grandi aggregazioni sono una sfida per rafforzare il confronto, non per indebolirlo. Ora spero che nella maggioranza non si inneschi una competizione fra soggetti diversi, mettendo in difficoltà un governo che ancora non è nato, o quasi. Qualche preoccupazione su questo ce l’ho. Detto ciò, mi interessa cosa fa il Pd, come si va avanti. Sono convinto che far finta di nulla sarebbe un errore. Dobbiamo cogliere questo momento per rigenerare il Pd, per rifondarlo. Ma era un’esigenza che c’era a prescindere dalla scissione di Renzi. Oggi abbiamo una ragione in più. Quanto al sistema elettorale, mi lasci dire che la discussione non è chiusa. E che io non rimpiango per niente il proporzionale.

In questi anni il Pd è stato bloccato dai conflitti interni e due culture differenti. O no?
No, le culture non erano e non sono due ma molte di più. Il confronto non è riconducibile ad ex Margherita da una parte ed ex Ds dall’altra. In tanti e tante ci siamo trovati nelle ragioni per dar vita al Pd di Veltroni e lo abbiamo interpretato in modi diversi, a dimostrazione che non ci sono due blocchi. Per esempio, Prodi dove dovrebbe collocarsi, fra questi due blocchi?

Fuori dal Pd, almeno finché era segretario Renzi.
Intendo dire che le sfumature sono molte di più. Adesso mi interessa cosa pensiamo utile per il futuro. Ci vuole una nuova radicalità sui temi. Non usciamo da questa fase attraverso un compromesso al ribasso sulle cose da fare fra quelli che rimangono. Ci vuole un partito molto più netto sulla lotta al cambiamento climatico, sul lavoro, sui diritti. Escludo che si possa pensare che ora che se n’è andato Renzi si rifanno i Ds. Dobbiamo rifondare un campo largo.

Renzi dice che adesso nel Pd tornerà la Ditta, e diventerà un partito della vecchia sinistra conservatrice.
Sì, conosco la storia: un partito old style, socialdemocratico. È quello che si augura Renzi. Ma non succederà. Dove sta la radicalità sui diritti umani nel mondo, o sull’ambiente? Sta in un pensiero nuovo. Io ho partecipato allo scioglimento dei Ds con convinzione e senza lacrime, non tornerò indietro. La lettura di Renzi è strumentale anche quando usa il modello dei Democratici americani: non è vero che lui incarna da solo quel tipo di scommessa. Anche perché rispetto ad alcuni leader democratici lui è molto molto più a destra: Bernie Sanders, Elizabeth Warren, perfino Joe Biden.

Il Pd è una colonna del socialismo europeo. È un partito socialista, o socialdemocratico?
Non in un’accezione tradizionale.Del resto nell’europarlamento ci chiamiamo Socialisti e democratici, non per caso. L’asino infatti casca sui temi: sull’ambientalismo o sui diritti umani la tradizionale cultura socialista non è sufficiente. Dobbiamo arricchirla, essere esigenti. Del resto cosa vuol dire essere socialisti oggi? I laburisti inglesi sono socialisti in senso tradizionale? Non mi pare. Lasciamo perdere le questioni astratte e politologiche.

Renzi però in Europa guarda al francese Macron.
A me piace più papa Francesco.

Se in Europa Renzi guarda a Macron e non al socialdemocratico Timmermans, è persino logico che esca dal Pd.
Le differenze sono significative, certo. Ma se cerchiamo le differenze finiremo per creare dodici partiti, non due.

Lei, diceva prima, vede il rischio che il Pd ora si adagi su un compromesso al ribasso fra quelli che rimangono. Ex popolari, ex renziani e quel che resta degli ex Ds: Zingaretti è ostaggio delle correnti, che peraltro voleva abolire?
Il rischio c’è ma lui sarà decisivo. Ho molta fiducia in Zingaretti. Per trovare una spinta nuova deve rompere la liturgia romana, cercare i nuovi protagonisti fuori dal raccordo anulare, fra quelli che non hanno frequentato il potere romano in questi anni, che pure sono stati essenziali in questi mesi per chiudere l’accordo con i 5 stelle. A me piacerebbe un partito che va da Beppe Sala (sindaco di Milano, ndr) a Peppe Provenzano (neoministro del Mezzogiorno, ndr). Da Nord a Sud, da Beppe a Peppe.

Forse anche a Beppe Grillo?
Lui lasciamolo fuori, per ora, nonostante le cose sagge che dice in questi ultimi tempi.