Guadalupe Maravilla ha ricevuto i centomila dollari del Lise Wilhemsen Art Award prestigioso riconoscimento artistico con cadenza biennale. Il premio è attribuito a un artista in grado di creare una partecipazione attiva attraverso pratiche legate a una forte responsabilità sociale. Per il museo che organizza l’evento, il centro Henie Onstad di Oslo, tutto si traduce in un programma di attività che ruotano attorno alla personale del vincitore, proponendo una serie di interventi che lo trasformano in un laboratorio in grado di sensibilizzare su questi temi le future generazioni.

SCELTA FELICE dunque quella di Guadalupe Maravilla, dopo Otobong Nkanga: la selezione è orchestrata da un comitato di curatori che annovera importanti realtà museali, dal Macba di Barcelona alla Tate passando per il Moma. Curata da Caroline Ugelstad, la mostra Sound botánica ha un titolo (voluto dall’artista) che si riferisce ironicamente ai negozi in cui si vendono articoli magico-religiosi.

LA BIOGRAFIA di Maravilla è intimamente connessa alla sua produzione artistica. Immigrato illegalmente negli Stati Uniti nei primi anni ’80 – all’età di otto anni – come tanti salvadoregni ha seguito il flusso della diaspora ed è stato vittima del traffico di bambini in seguito alla brutale guerra civile che devastò il suo paese. La sua drammatica esperienza di esilio si è poi trasformata, nel suo lavoro, in una ricerca d’identità. Attraverso pratiche interdisciplinari, ha mescolato temi personali alla memoria collettiva, purtroppo costellata di ulteriori traumi. Sopravvissuto a una grave forma di tumore ha fatto della rappresentazione della guarigione un punto centrale nei suoi interventi artistici. Ha affiancato alla chemioterapia esperienze terapeutiche alternative basate sul suono, dopo un incontro con Don Corneraux guaritore e maestro yoga americano. Successivamente si è specializzato nell’utilizzo del gong e nella pratica dello meditazione. Maravilla si è però discostato dall’impianto new-age del suo maestro, utilizzando strumenti come piramidi di cristallo e armonica nel corso di sessioni terapeutiche, bagni di suono (healing sound bath) offerti al pubblico come esperienze di cura e conoscenza.

LA SUA ARTE VIVE nei percorsi rituali con disegni, negli assemblaggi di oggetti trovati che diventano collage tridimensionali costruendo i suoi totemici Disease Throwers. Cabinets e strutture monocromatiche popolano le sue mostre, ricoperte di un personalissimo dripping di cotone colato da incorporare nel materiale di scarto e con gli onnipresenti e iconici gong. La sua pratica olistica si àncora nella memoria e della potente metafora geopolitica delle culture precolombiane.
Guadalupe Maravilla riprende un’affabulazione mai interrotta intorno la sua infanzia. Una serie di disegni automatici dal titolo Tripa Chuca (intestini sporchi) riprende un gioco grafico che consiste nel connettere una serie di punti con linee continue che non devono incontrarsi mai. Sono mappe immaginarie che debordano sui muri delle sue installazioni, dipinte con colori soffusi in tonalità terapeutiche. Nell’esecuzione dei lavori lo affiancano persone che condividono con lui un percorso di vita, immigrati clandestini alla ricerca di un’idea realizzabile di comunità. L’artista non nasconde il sogno di estendere queste sue pratiche a luoghi extra artistici come ospedali, scuole e altre istituzioni.

CENTRALE nel suo lavoro è l’idea che ogni individuo possa diventare il farmaco di se stesso in grado di reagire a situazioni traumatiche, coltivando la possibilità di evolvere su un terreno creato attraverso rituali collettivi. Affiora anche una gratitudine per i tanti miracoli quotidiani che avvengono, nonostante la società distopica. Nei suoi Retablos, infatti, ritorna alla tradizione degli ex-voto tipica della religione cattolica: sono eseguiti da un pittore professionista del genere, Daniel Vichis, incontrato in un mercato in Messico. Nei ricami sensuali delle Embroideries, si prende invece gioco dell’ufficio immigrazione degli Stati Uniti spesso rappresentato come un blocco di ghiaccio Ice (Immigration and Customs Enforcement) dal quale grondano vistose gocce di sangue.
L’incontro decisivo con l’arte di Guadalupe Maravilla sembra proporsi come una cura alternativa al mood depressivo della epicrisi attuale post pandemica e belligerante.