Voleva essere l’ultimo presidente del Consiglio a chiedere la fiducia del senato, Matteo Renzi, e invece la sua riforma costituzionale è stata abbattuta dal referendum e il bicameralismo paritario neppure scalfito. A migliorare almeno un po’ ritmi e qualità del lavoro del parlamento potrebbe arrivare invece, proprio in chiusura di legislatura, quella riforma dei regolamenti tante volte invocata – anche come alternativa più razionale alla revisione costituzionale – e mai realizzata. Al senato, l’ultimo intervento di peso sul regolamento è del 2003, dopo il bipolarismo muscolare non ha consentito gli indispensabili accordi; le modifiche al regolamento si votano a maggioranza assoluta e a scrutinio segreto. Adesso, in quelle due o tre settimane che restano tra la sessione di bilancio e la conclusione prevista della legislatura, a palazzo Madama su impulso del presidente Grasso potrebbero arrivare le sospirate novità. Tra le quali una stretta al trasformismo parlamentare.
Le dimensioni del fenomeno sono note e tiene il conto Openpolis: dall’inizio della legislatura 234 cambi di gruppo al senato e 299 alla camera. Il totale degli spostamenti è più alto dei parlamentari coinvolti (342) perché ci sono deputati e senatori che hanno cambiato gruppo più di una volta. Secondo l’Economist, che ha dedicato al caso italiano un colonnino nell’ultima edizione, all’origine del fenomeno c’è soprattutto la distanza tra elettore ed eletto: problema che la nuova legge elettorale non risolve visto che la grande maggioranza dei parlamentari sarà ancora selezionata dalle liste bloccate.

Sul punto il nuovo regolamento del senato è assai più rigoroso della nuova legge elettorale. Il testo sul quale si è registrato ieri un accordo unanime in giunta, e del quale sarà relatore in aula il leghista Calderoli, prevede che si potranno costituire gruppi (con almeno 10 senatori) solo in rappresentanza di un partito o movimento politico che si è presentato alle elezioni con il suo nome e simbolo (a meno che non si tratti dell’unione di due gruppi). Con queste regole, sei degli attuali undici gruppi a palazzo Madama non potrebbero esistere. Si tratta di un disincentivo forte alla frammentazione che però stride con l’impianto del Rosatellum. Che da una parte incoraggia coalizioni vaghe ed evanescenti, pronte a rompersi il giorno dopo le elezioni. E dall’altra distribuisce a pioggia i voti a partiti non scelti dagli elettori – nel caso di liste che si fermano tra l’1 e il 3 per cento e nel caso di schede segnate solo nella parte uninominale. Servirà una bugia bella grossa per negare la formazione di un nuovo gruppo, sostenendo che i parlamentari sono legati ai simboli per volontà del corpo elettorale.

Il senato appare sul punto di completare l’opera, ma il discorso non vale per la camera dove modifiche analoghe al regolamento sono ferme da mesi. Anche perché i 5 Stelle che al senato ieri hanno votato a favore, a Montecitorio si oppongono.