Un sole con una luce fredda che fa strizzare gli occhi come di primo mattino. Ci spostiamo sotto i portici, lungo via Po, prima che il corteo parta: «Tranquille, senza di voi non si inizia», dicono i colleghi a Eleonora Carpinelli e Daniela Macco, operaie della De Tomaso di Grugliasco. Forse la più grave e simbolica crisi aziendale del Piemonte. Oltre 800 dipendenti in cassa integrazione da 4 anni e presto in mobilità, con alle spalle un’azienda fallita e alla porta, per ora, solo virtuali nuovi investitori: il fondo lussemburghese Genii Capital (che gestisce la Lotus) ancora tentenna, mentre le lettere di licenziamento sono già partite.

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Eleonora ha 57 anni, di cui 26 passati nello stabilimento di corso Allamano, che un tempo apparteneva ai Pininfarina. Addetta alla saldatura. «Siamo le uniche donne dell’azienda in piazza» dice, guardando con un sorriso amaro, Daniela, 45 anni e 15 trascorsi in fabbrica. «Ho un figlio di 20 anni precario, uno di 12 che va a scuola, e un marito che lavorava come me alla De Tomaso. Entrambi siamo a casa, in attesa di poter ritrovare lavoro. Alla nostra età non sarà facile. Se mi guardo indietro, questi anni mi sembrano buttati al vento».

La loro situazione è peggiorata a cavallo tra il 2009 e il 2010, appena «siamo passati nelle mani dei Rossignolo» sbotta Eleonora. Era inverno quando l’imprenditore alessandrino Gian Mario Rossignolo, recente proprietario della De Tomaso, si accordò con Pininfarina per l’acquisto di tutti i macchinari della sede di Grugliasco, prendendosi in carico i 900 dipendenti. Aveva programmi avveniristici. Tutto è rimasto sulla carta e la magistratura ha incominciato a indagare; ci sono stati arresti e una lunga inchiesta, appena conclusa, della Procura di Torino, che ha considerato quell’operazione «rovinosa e dolosa».
«In quattro anni abbiamo fatto ogni genere di cassa integrazione: ordinaria, straordinaria e in deroga. Siamo stati magari aiutati più di altri attraverso gli ammortizzatori, ma in realtà non è stato risolto niente e martedì finiremo in mobilità» sottolinea Eleonora. Chi ha più di 40 anni chiederà al curatore fallimentare, Enrico Stasi, di essere cacciato prima del 31 dicembre e così evitare la «tagliola» Fornero. Se lasciassero il lavoro nel 2015, percepirebbero l’Aspi, la disoccupazione, e non la mobilità: tra 6 e 12 mesi di indennità in meno.

«Siamo qui anche per i nostri figli – spiega Daniela – che faticano a trovare un lavoro o che, se ne hanno uno, sono costretti a non scioperare, perché rischierebbero il posto. Ho notato i precari in fondo al corteo. Siamo divisi, perché la crisi ha aumentato le distanze. L’unica soluzione è recuperare l’unità». A chiudere il corteo, lo «spezzone sociale» caricato dalla polizia in corsa Regina Margherita (9 fermati). In serata, le manifestazioni, sono riprese con la Street parade precaria.