Tutto secondo copione: domenica l’assemblea nazionale del Partito socialdemocratico (Spd) ha dato il via libera alle trattative con la Cdu di Angela Merkel per la formazione di un gabinetto di grosse Koalition. La politica tedesca generalmente non riserva colpi di scena, e quindi è lecito attendersi che l’esito dei colloqui sarà quello auspicato dai vertici delle due formazioni: entro Natale ci sarà un accordo di legislatura che garantisca alla Germania l’immancabile «governo stabile».

Peccato che della «stabilità» molti militanti socialdemocratici non sappiano che farsene, preferendo piuttosto il cambiamento promesso in campagna elettorale. I rapporti di forza in Parlamento, tuttavia, parlano chiaro: un governo progressista sarebbe possibile soltanto con un’intesa che andasse oltre il perimetro dell’alleanza fra Spd e Verdi, includendo anche la Linke. Eventualità che continua a essere esclusa categoricamente dal gruppo dirigente socialdemocratico.

A quella parte di Spd che difende posizioni genuinamente di sinistra (organizzata nel Forum Demokratische Linke) resta dunque solo da dare battaglia nelle prossime settimane per riuscire a imporre quanti più temi possibili – ad esempio, la patrimoniale – nell’agenda della trattative. E, in assenza di risultati accettabili, fare campagna per il «no» al referendum che, a conclusione dei colloqui, si terrà fra tutti gli iscritti al partito, ai quali spetterà l’ultima parola sull’accordo con la Cdu.

In linea teorica tutto può accadere, ma è difficile immaginarsi che la base possa sconfessare clamorosamente i propri vertici. Non solo in virtù del fatto che sono apertamente favorevoli alla «grande coalizione» organizzazioni influenti fra i socialdemocratici, come il sindacato Ig-Metall, ma anche perché a essersi esposta a favore delle trattative con la Cdu è la dirigente più popolare fra i militanti: Hannelore Kraft, governatrice del Nordreno-Westfalia, Land-simbolo della tradizione socialdemocratica. La persona che molti avrebbero volentieri visto al posto di Peer Steinbrück nel ruolo di sfidante della cancelliera uscente.

Nonostante alcuni organi di stampa italiana la diano già come prossima numero due del nuovo esecutivo, è improbabile che Kraft decida di lasciare il posto che attualmente ricopre, che nel sistema federale tedesco è ben più rilevante di qualunque incarico ministeriale. Ma non solo: se diventasse vicecancelliera, perderebbe quella distanza da Merkel sulla quale potrebbe invece fondare il tentativo di spodestare i democristiani dalla guida del governo. Quando, tra quattro anni, quasi certamente guiderà le liste della Spd.

In ogni caso, se lo stato maggiore socialdemocratico – Kraft compresa – dovesse fiutare che l’ostilità della base verso la grosse Koalition supera il livello di guardia, è più probabile che cerchi direttamente il pretesto per far fallire le trattative. Troppo alto il rischio di andare incontro, nel referendum fra gli iscritti, a una sconfitta politica che costerebbe il posto persino all’usciere della sede della direzione del partito, precipitando la Spd in una crisi di leadership dagli esiti imprevedibili. Prevarrà quasi sicuramente un triste «buon senso» che darà alla Repubblica federale un esecutivo «stabile e forte», ma dal quale sarà impossibile attendersi molto di più di qualche pannicello caldo per lenire le ingiustizie più brucianti. In Germania, e – ancor di più – nel resto d’Europa.