E venne il giorno che il Movimento 5 Stelle, il partito della fedina penale immacolata come dogma, si dichiarò al di sopra della legge. «Processi, burocrazie, codici e codicilli non possono fermarci perché siamo uniti e compatti verso lo stesso obbiettivo» ha affermato ieri Beppe Grillo dal suo blog. L’autoassoluzione è arrivata insieme alla diffusione dei dati sulla consultazione online sulle nuove regole. Si è votato su alcune modifiche al «non-statuto» e al regolamento che si erano rese necessarie quando alcuni espulsi dal M5S napoletano avevano presentato ricorso in procura. Il giudice aveva dato loro ragione ed aveva disposto il reintegro di 23 epurati. Il co-fondatore ha ammesso dunque che l M5S «si trova in difficoltà a essere riconosciuto dalle leggi attuali». Ma ciò, prosegue, è dovuto al fatto che «la sua struttura e organizzazione è molto più innovativa e avanzata di quelle regolamentate dai codici».

Più che innovativa, la questione è parecchio ingarbugliata. Esistono due involucri legali del Movimento. Il primo è quello costituito dagli iscritti al portale di Grillo. Il secondo, quello che possiede il simbolo, è stato confezionato in tutta fretta all’indomani dei primi successi elettorali: unici soci sono Grillo, suo nipote e il suo notaio. La votazione conclusasi qualche giorno fa serviva a sanare il vulnus di un regolamento emanato da Grillo ma mai discusso in nessuna sede, oltre che a liberare il comico da ogni responsabilità legale. Secondo il codice civile per rendere valida la votazione serviva un quorum di almeno il 75% dei votanti. È una soglia altissima per i canoni grillini. Il M5S conta 135 mila iscritti. Non sono tanti, se si considera che per molti sondaggi si tratta del primo partito italiano e che per iscriversi basta registrarsi al sito. E a dispetto delle teorizzazioni sulla democrazia diretta, di solito l’affluenza alle votazioni virtuali è molto bassa. Per questo Grillo aveva deciso che le urne digitali sarebbero state aperte per un mese, durante il quale sia lui che i big del Movimento, dai membri del direttorio ai sindaci delle grandi città, hanno diffuso con insistenza appelli al voto, utilizzando la potenza di fuoco dei social network e sms individuali. Non è bastato a raggiungere la percentuale agognata: hanno votato in 87.213. Ma il leader si dichiara al di sopra della legge e saluta l’affluenza come «il record mondiale di partecipanti a una votazione online per una forza politica o un’associazione».

Grillo sa che tutto questo potrebbe non bastare e spiega: «I nostri avvocati sono già al lavoro». Lo stesso dicono i suoi: «Ci difenderemo e vedremo cosa avverrà – afferma Roberta Lombardi – Ma ai nostri ideali non rinunciamo». Lorenzo Borré, il legale che ha curato la causa degli espulsi, è di diverso avviso: «Non c’è solo la questione del quorum a invalidare tutto. Il grande obiettivo mancato è quello della discussione, il sale della democrazia: qui siamo di fronte a un plebiscito non a una delibera assembleare».
Anche questa non è una novità dalle parti della democrazia in salsa grillina: si viene chiamati a votare per approvare o respingere una decisione, come era successo ad esempio in occasione della contestata alleanza a Bruxelles con gli euroscettici di Nigel Farage. Per di più le nuove disposizioni lascerebbero intatto l’intreccio tra i due M5S, quello liquido e informe degli iscritti e quello blindato e privatistico di Grillo. Il nuovo regolamento prevede che i componenti del comitato di appello siano determinati dal consiglio direttivo emanato dall’associazione creata in separata sede dal comico. E che l’altro organo che disciplina le epurazioni, il collegio dei probiviri, venga «nominato dall’assemblea» ma (ancora una volta) solo su proposta del «capo politico» del M5S. Cioè Beppe Grillo.