L’assassino ritorna sul luogo del (tentato) delitto. Ieri Beppe Grillo ha pubblicato un post sul suo blog dedicato al rapporto tra democrazia e informazione. «Se l’informazione ha come riferimenti i soggetti economici e non il cittadino, gli interessi delle multinazionali e dei gruppi di potere economico prevalgono sugli interessi del singolo», scrive Grillo.
Propone, tra le altre cose, la creazione di reti pubbliche e di infrastrutture di reti finanziate da Cassa depositi e prestiti. Ma infila ancora una volta il tema dei contributi pubblici all’editoria, reclamando l’«eliminazione dei contributi pubblici per le testate giornalistiche nazionali» e «aiuti proporzionali per testate locali televisive che fanno vera informazione pubblica sul territorio». Insomma, al di là del fatto che il fondatore del Movimento 5 Stelle decida che le testate nazionali siano meno importanti di quelle locali (ma solo, chissà perché, quelle televisive!), si ripropone il feticcio dei contributi pubblici all’editoria. Ormai è un’ossessione per Grillo, un simbolo da abbattere senza che se ne conoscano i motivi.

Che si tratti di un mero vessillo da sventolare in maniera identitaria, utile alle schermaglie interne ma slegato da ogni riferimento concreto alla vita dei giornali e alla qualità dell’ecosistema informativo, è dimostrato dal fatto che lunedì sera alla Camera una pattuglia dei grillini attualmente sottoposti a sanzione disciplinare per aver votato contro la fiducia a Draghi ha sostenuto un emendamento soppressivo del rinvio ai tagli all’editoria contenuto nel Milleproroghe. Il testo, bocciato dalla stragreande maggioranza dei deputati, è stato presentato da Andrea Colletti. «Con questo emendamento noi vorremmo tornare a quello spirito primigenio che coinvolgeva il Movimento 5 Stelle e i nostri principi» ha detto in aula.
Lo stesso Colletti da ieri presiede la componente nel gruppo misto «L’alternativa c’è», formata da tredici ex grillini. La formazione sbarcherà anche a Palazzo Madama, grazie al marchio di Italia dei valori: ha raccolto finora l’adesione di sei senatori.

Ha deciso per adesso di non essere della partita Nicola Morra, il presidente delle commissione antimafia continua a dire di essere fiducioso che le cose nel M5S si possano ricomporre. «Io sono un tessitore, sono ottimista» dice Morra augurandosi che ci siano ancora i margini affinché la vicenda delle espulsioni «finisca con un abbraccio». Anche per questo, prosegue Morra, «è ancora presto per dire» se ci sarà nelle prossime settimane un contenzioso in tribunale. Ma anche la deputata Jessica Costanzo, vicina al gruppo di Colletti, si dice sicura che col tempo le strade con il M5S sono destinate a incrociarsi ancora.

Altri suoi colleghi però procedono con le carte bollate. « Fino a ieri sera erano di sicuro cinque i senatori intenzionati a far partire la causa, ma oggi so che si sono aggiunte altre persone. È fermo intendimento a presentare un ricorso sia contro il provvedimento di espulsione dal gruppo parlamentare, sia contro l’espulsione dal M5S», dice l’avvocato Daniele Granara, che è stato assoldato da Elio Lannutti. Si tratta di due impugnazioni: la prima di fronte alla Commissione contenziosa del Senato, la seconda davanti al Tribunale civile di Roma. «Relativamente al provvedimento di espulsione dal gruppo bisogna tener conto che vi è il principio per cui i parlamentari agiscono con libertà di coscienza e rappresentano la nazione: non si può imporre un voto, a maggior ragione quello sulla fiducia», è la tesi sostenuta da Granara.