«Abbiamo parlato per più di tre ore di transizione ecologica, ma è bastato che Beppe citasse per pochi minuti la regola dei due mandati per deviare l’attenzione degli osservatori», questo è quanto trapela dalle alte sfere del Movimento 5 Stelle dopo la riunione congiunta (da remoto) di venerdì sera. Deputati e senatori erano stati convocati per un incontro seminariale sulla transizione ecologica con lezione del professore Marco Morosini, uno dei teorici e ispiratori della svolta green del M5S, e la presenza del ministro Roberto Cingolani.

GRILLO È COMPARSO a sorpresa per una breve introduzione nella quale ha sparato la bomba: «Il tetto dei due mandati è un pilastro, non si tocca». Poi ha promesso: «Gli eletti che finiscono il secondo mandato non saranno abbandonati». Una subordinata che voleva essere rassicurante ma che ha avuto l’effetto di rafforzare il concetto: per gli oltre sessanta parlamentari (circa un terzo del totale) che sono al secondo giro la partita finirebbe qui, e tra di essi ci sono quasi tutti i big. Si salverebbe solo Stefano Patuanelli, che nella scorsa legislatura era consigliere comunale e quindi ha ancora una cartuccia da sparare. Ed è facile capire che Conte rischia di finire preda dei colonnelli che per il momento gli hanno steso il tappeto rosso, se dovesse decidere che la loro presenza nei palazzi scadrà insieme a questa legislatura.

DUNQUE, TRA LE REGOLE che Conte proporrà nelle prossime settimane, resterebbe in vigore quella che forse di più ha caratterizzato la storia del M5S, l’unico principio che ancora non ha conosciuto deroghe significative ma sul quale da tempo si chiede di intervenire. Si sperava di farlo durante gli Stati generali dello scorso novembre, ma la pressione della base consigliò di evitare di farlo in quella sede. La rigenerazione del M5S ad opera di Conte pareva l’occasione perfetta, eppure Grillo non sembra d’accordo.

IL FATTO che la sua uscita fosse del tutto inattesa conferma la dinamica contraddittoria dentro cui si stanno infilando i 5 Stelle negli ultimi tempi. Se da una parte si va verso una «normalizzazione», e dunque si lanciano segnali di stima verso Draghi, si immagina una comunicazione tutta costruttiva e sempre meno apocalittica, si cerca casa dentro una delle famiglie europee e si costruisce la relazione strutturale con il centrosinistra. Dall’altra però il M5S sembra davvero quello delle origini, in cui nessuno sapeva nulla prima che Grillo parlasse e indicasse la strada e in cui la stessa comunicazione verso l’esterno rispondeva a indicazioni ben precise fornite dall’alto.

DA QUESTA discrepanza discende la divaricazione tra Grillo e gli eletti. L’Elevato e i suoi consiglieri possono consentirsi di ragionare di massimi sistemi. Sul blog di Grillo si parla della necessità di costruire «una società basata sulle persone e il tempo liberato» in luogo di «una società come la nostra, basata sulle cose e il tempo di lavoro». Oppure, solo qualche giorno fa lo stesso Grillo ha diffuso un appello all’Ocse per invitare i paesi ricchi a comprare i vaccini anti-Covid per quelli poveri che non se li possono permettere.

QUESTI ORIZZONTI non corrispondono al clima che circola presso la maggior parte degli eletti, in attesa di sapere che regole vigeranno nel M5S, chi gestirà le risorse, che rapporto si manterrà con Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau. Questi due piani, quello della strategie di medio-lungo periodo evocata da Grillo con la data-simbolo del 2050 e quello delle tattiche di breve scadenza di cui è fatta inesorabilmente la politica quotidiana, rischiano di confliggere perché parlano linguaggi diversi e sono mossi da grammatiche quasi inconciliabili. La forza che in pochissimi anni ha incamerato centinaia di eletti che siedono nelle istituzioni e ne hanno imparato astuzie e vizi cova una contraddizione che rischia di precipitare in capo a Conte, quella di un partito che non ha mai smesso di essere proprietario ma che allo stesso tempo ha generato miriadi di micro-poteri e deve trovare il modo di funzionare e sedimentare classe dirigente.