Colpire all’interno e all’esterno del Movimento. Per Beppe Grillo ormai la strategia elettorale per sfondare alle elezioni europee è basata su questi due fronti: uno interno, che mira a colpire chiunque metta anche solo in dubbio le decisioni prese da lui e Casaleggio e che oggi ha nel mirino il sindaco di Parma Federico Pizzarotti. E l’altro esterno, o meglio nazionale, che punta a screditare Matteo Renzi colpendolo duro fino al 25 maggio, cercando di dimostrare come le promesse fatte siano solo «parole, parole, parole» come scrive sul suo blog. Un punto che il fondatore del M5S ha perseguito anche il giorno di Pasqua con bordate che hanno mirato soprattutto su lavoro e economia e portate a segno anche con la riproposizione di un articolo dell’«Economist» in cui si critica il premier per aver annunciato troppe riforme senza garantirne le coperture. Articolo del 1 marzo, e quindi vecchio al punto che dal Pd non sono mancate le ironie, ma capace comunque di lasciare il segno tra gli elettori.
Spinto dai sondaggi, che danno il M5S tra il 22% e il 25%, Grillo è sicuro di poter migliorare se riesce a incrinare la credibilità di Renzi e, allo stesso tempo, a pescare voti tra gli elettori in fuga di Forza Italia. Elettori che, come Berlusconi, tenta con con le sirene dell’antieuropeismo: «Il M5S abolirà il fiscal compact, il pareggio di bilancio in Costituzione e vuole ridiscutere tutti i trattati che ci vincolano all’Europa», ha scritto ieri in un post usando le stesse identiche parole che lui e Berlusconi ormai si rimpallano a vicenda. Ma ricordando anche come i partiti che hanno sottoscritto quelle regole siano gli stessi che oggi chiedono il voto. A partire dal Pd che, assicura, «non ha alcuna intenzione di rivedere questi vincoli assurdi che distruggeranno il tessuto sociale e imprenditoriale dell’Italia».
Stessa cosa per l’italicum, «una legge fatta per far fuori il M5S». Peccato però, aggiunge l’ex comico, che le cose ora siano cambiate e che con il M5S attestato ormai a secondo partito dopo il Pd «l’italicum non vedrà mai la luce». «Quando hai una realtà tripolare e fai una legge dove alla fine si vince un due – scrive – significa che uno lo si vuol far fuori. Ma mentre tutti pensavano che quella legge potesse servire per far fuori Grillo, adesso farebbe fuori Berlusconi e i conti non tornano». Un ragionamento che non tiene conto delle alleanze, ma che nella logica del fondatore del M5S non fa una piega.
Poi c’è il fronte interno su cui è impegnato direttamente Gianroberto Casaleggio. Resi inoffensivi i senatori dissidenti, adesso il problema è rimettere a posto il sindaco ribelle di Parma. «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore o lo chiudo o vado a casa», ha detto Casaleggio in un’intervista. L’inceneritore, in realtà, c’entra poco. Pizzarotti dà fastidio perché da un po’ di tempo è in dissenso con le scelte dei due leader, dalle espulsioni dei dissidenti al modo in cui sono stati scelti i candidati alle europee. «Perché dovrei votare per degli sconosciuti?» si è chiesto un paio di settimane fa beccandosi per questo un cartellino da Grillo che, se non proprio rosso, di sicuro era giallo molto acceso. La battuta di Casaleggio, in pratica un invito a lasciare il movimento e a dimettersi, è un ulteriore passo in avanti verso la rottura. Ieri, per niente intimorito, Pizzarotti ha risposto al guru milanese dalla sua pagina Facebook. «Penso che non sia semplice far capire cosa significa amminstrare una città che aveva 870 milioni di euro di debito che, in meno di due anni è stato ridotto di quasi la metà», ha scritto. «Amministrare è affrontare problemi reali, a volte vuol dire anche non vincere alcune battaglie. Ma questo non vuol dire tradire un ideale».