Con una lettera a La Stampa (26 Luglio 2021), Massimo Cacciari e Giorgio Agamben hanno definito il green pass uno strumento volto alla «discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B», con conseguenze drammatiche per la vita democratica. Nell’analisi il green pass viene assimilato alle pratiche di discriminazione in atto in Cina, dove i tracciamenti e i controlli stanno diventando dispositivi permanenti di governo della vita quotidiana, e anche a quello che fu il passaporto interno in uso in Urss. Si tratterebbe di un esercizio di dispotismo e della messa in atto di pratiche «prima contenute e poi dilaganti», che sarebbero destinate a prolungarsi all’infinito. Prove generali di dominio illiberale dunque. Cacciari e Agamben denunciano il pericolo di un eccesso di potere dello Stato sull’individuo in cui il green pass rappresenterebbe metonimicamente il prototipo per un cambiamento strutturale, contrario all’ordinamento liberal-democratico e ai principi costituzionali che lo sorreggono. Tesi, questa, chiarita da Cacciari in un breve pezzo sull’Huffington Post (12 agosto 2021): «Viviamo da oltre un ventennio in uno stato di eccezione che, di volta in volta, con motivazioni diverse, che possono apparire anche ciascuna fondata e ragionevole, condiziona, indebolisce, limita libertà e diritti fondamentali».

Non credo che questa interpretazione sia fondata e, anzi, sosterrò che possa portare a conseguenze paradossali. La tesi che intendo difendere è che il green pass sia la conseguenza di una mancanza di potere dello Stato sull’individuo e l’effetto dei vincoli normativi che, per ora, caratterizzano gli ordinamenti liberal-democratici.

Il green pass andrebbe quindi letto come moral suasion il cui obiettivo è convincere con una “spinta gentile” gli indecisi a vaccinarsi.

A riguardo, l’incremento delle vaccinazioni che si è verificato nel mese di agosto, soprattutto in alcune fasce di età, è indicativo. L’accusa che, quindi, si può muovere al green pass è di costituire un esercizio di «paternalismo libertario» (Cass. R. Sunstein, Egea 2020), nel quale l’imposizione di un determinato comportamento si basa sulla presunta libertà di scelta degli individui. In altre parole, non è tanto l’assenza di libertà e il potere tentacolare dello Stato sull’individuo che vanno messi al centro della critica quanto, piuttosto, il suo opposto. I sistemi liberal-democratici occidentali si trovano nella condizione di dover usare la libertà di scelta dell’individuo, non di azzerarla. Come il marketing, anche la politica fa leva sull’illusione del libero arbitrio delle persone: chiede ai cittadini di scegliere quando, in realtà, sta indirizzando la decisione verso un esito che ritiene degno di valore, a prescindere dalla formulazione di un “giudizio autonomo”. Non è quindi l’assenza di alternative a caratterizzare il green pass ma la presenza di finte opzioni che suggeriscono la scelta che si desidera far compiere al (cliente)cittadino.

Se questa interpretazione fosse fondata, le conseguenze fattuali sarebbero del tutto diverse da quelle paventate dai due filosofi. L’imposizione del green pass dovrebbe andare via via restringendosi ad ambiti limitati e circoscritti, come gli spostamenti internazionali e gli eventi ad alto rischio. Non costituirebbe, cioè, il prototipo attraverso il quale sperimentare misure future su larga scala, ma l’indicatore di uno Stato che tratta gli individui alla stregua di soggetti incapaci di scegliere e giudicare liberamente.

Nella prospettiva della “spinta gentile”, il green pass è un esempio di applicazione alle politiche pubbliche della concezione economica delle preferenze rivelate, secondo cui le persone desiderano ciò che concretamente scelgono. Si tratta di una concezione che sottende la rinuncia al primato del giudizio autonomo dell’individuo per concentrarsi sul suo comportamento.

Ma le indicazioni di Cacciari – nella già citata intervista all’Huffington Post – non considerano la centralità dell’autonomia di giudizio, per andare invece nella direzione di una politica pubblica che considera l’individuo come homo oeconomicus: «Siamo liberi solo quando decidiamo in base a dati precisi e calcolando razionalmente costi e benefici per noi e per gli altri». Al contrario se, come ho cercato di sostenere, l’obiettivo della critica al green pass si focalizza sul suo essere uno strumento di paternalismo libertario che ricorre in modo surrettizio alla libertà di scelta delle persone, le misure da adottare dovrebbero mirare al rafforzamento dell’autonomia di giudizio. Finalità, questa, da conseguire attraverso processi di deliberazione pubblica e mobilitazione civica che non considerino le persone né come calcolatori razionali, né come soggetti incapaci di riflessione ponderata.