L’ora X è arrivata. Scatta oggi l’obbligo di Green Pass sul lavoro, una misura molto rigida, più di quelle in vigore in qualunque altro Paese europeo e che, anche per questo, costituisce un po’ un salto nel buio.

Francesca Re David, segretaria della Fiom, si esercita in understatement: «Nelle fabbriche c’è una situazione non molto facile e il governo arriva all’appuntamento non preparatissimo».

Il dipartimento Pubblica sicurezza del Viminale, invece, sceglie la via della drammatizzazione: «Possibile intensificazione degli episodi di violenza, blitz contro obiettivi esposti come porti, aeroporti e strade, scontri tra opposti estremismi». Pieni anni ’70, insomma, e magari per il momento le sirene spiegate sono un po’ esagerate.

Ma la situazione, toni sbirreschi a parte, è tesa davvero.

Ieri centinaia di migliaia di persone sono corse a procurarsi un certificato verde, ma sono nella grande maggioranza tamponi, non vaccini. Tra le forze politiche, per una volta, campeggia una convinzione quasi unanime: bisogna fare qualcosa per disinnescare la mina.

Già, ma cosa? La richiesta di posticipare di due settimane l’entrata in vigore dell’obbligo, avanzata dai portuali di Trieste, i più bellicosi di tutti, il governo non l’ha neppure presa in considerazione. Il portare a 72 ore la validità dei test rapidi, una delle richieste principali di Salvini, è stata cassata dalla comunità scientifica: finestra troppo ampia, sfuggirebbero una marea di positivi.

RESTA IL PREZZO dei tamponi, ed è qui che martellano le forze politiche da un lato, i sindacati dall’altro. Il vicesegretario del Pd e ministro del Lavoro Orlando, dopo aver ripetuto che i test gratuiti sarebbero un premio ai No Vax e quindi non sono accettabili, argomentazione claudicante a essere molto buoni, concede ora che invece si può abbassare il costo. Però senza troppa convinzione perché «bisogna rispettare il senso civico dei molti che si sono vaccinati».

Il tepore svogliato del Pd è confermato dal segretario Letta: «Non è possibile che una minoranza detti legge. Bisogna rispettare chi rispetta le regole». Ma il semaforo è verde: «Favorevoli a qualsiasi misura abbassi la tensione».

Toni ben più battaglieri usa l’ex premier Conte: «Il costo dei tamponi va calmierato ulteriormente. Ci aspettiamo un impegno chiaro da parte del governo». Figurarsi Salvini: «Tamponi rapidi e a prezzo calmierato sono l’unica soluzione, non stiamo chiedendo concessioni».

I leader sindacali, parlando direttamente con Draghi e il ministro Orlando, questa volta nello studio personale del premier a palazzo Chigi, mettono sul tavolo una proposta precisa: «Credito d’imposta per le imprese che si dovrebbero però far carico del prezzo del tampone». Confindustria sbarra le porte. La parola d’ordine resta quella di Bonomi: non possono e non devono essere le aziende a pagare i tamponi.

Certo, se qualcuno vuol farlo spontaneamente nulla da obiettare, ma senza obbligatorietà. È quello che tra le grandi aziende molte hanno già scelto di fare, considerando quel prezzo un male minore rispetto al rischio di chiusure.

Ma nelle Pmi il trend è opposto e si capisce la preoccupazione di un dirigente sindacale: «C’è il rischio che ognuno faccia come gli pare». Non è un rischio: è una certezza.

DRAGHI PERÒ non chiude le porte. A Landini, che va giù secco, «bisogna prevedere l’abbassamento del prezzo dei tamponi», risponde possibilista: «Ci stiamo pensando».

In realtà il governo ci pensa molto seriamente. La scelta di abbassare il prezzo dei tamponi, ora fissato a 15 euro, non è ancora stata presa ma quasi sì. Non subito però, per motivi politici e d’immagine. Il calmiere non deve apparire come una vittoria della piazza violenta di sabato scorso e neppure un cedimento alle minacce dei portuali.

È POSSIBILE ANCHE che, tra un po’, diventi praticabile un’ipotesi che molti davano per imminente e che per ora non lo è affatto: la possibilità del Green Pass per gli stranieri vaccinati con Sputnik o col vaccino cinese, capitolo importante per i camionisti, categoria sul piede di guerra quasi quanto i portuali.

Le Infrastrutture bloccano il chiacchiericcio: impossibile. Ma in serata il direttore dell’Aifa Magrini si dice ottimista sull’introduzione della «reciprocità» sul riconoscimento dei rispettivi vaccini tra Ue da un lato, Russia e Cina dall’altro. Un accordo firmato dalle Ue sbloccherebbe la situazione. Almeno un nodo tra i tanti aggrovigliati sarebbe sciolto.