Arranca la green economy in Italia. Le emissioni di gas serra non calano da cinque anni, i consumi di energia sono tornati a crescere più del PIL, ed è diminuita la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Anche il tasso di circolarità dei materiali è diminuito e dal primo posto che avevamo in Europa siamo finiti al terzo. Il consumo di suolo è troppo alto (14 ettari al giorno), abbiamo il parco auto più denso d’Europa (644 ogni mille abitanti), e negli ultimi 12 anni è diminuita la flotta degli autobus pubblici (dal 2005 al 2017 si è passati da 58 mila e 51 mila veicoli) che per il 99% sono alimentati a diesel nelle aree extraurbane, mentre nelle aree urbane la flotta è alimentata per il 78% a diesel, per il 27% a metano solo il 2% sono ibridi.

ANCHE LA PENETRAZIONE DELLE AUTO elettriche è scarsa in Italia rispetto ad altri paesi (10mila le auto vendute, contro le 68mila della Germania), in più sono aumentate le emissioni medie specifiche degli autoveicoli, ovvero sono più grossi e più inquinanti. Anche l’ecoinnovazione, misurata come spesa pubblica in ricerca ambientale, ha segnato una battuta d’arresto tra il 2016 e il 2017: spendiamo l’1,35% del PIL, 22° posto in Europa.

La Relazione sullo stato della green economy 2019 fotografa un paese che ha perso slancio nell’attenzione all’ambiente e che ignora la crisi climatica. Mentre l’Italia balla – e neanche tanto allegramente – sul Titanic, gli impatti economici dei cambiamenti climatici che si delineano per i prossimi decenni sono a dir poco allarmanti se non si metteranno in campo mezzi straordinari per la decarbonizzazione. La Relazione 2019 contiene i dati di uno studio specifico su quanto ci costeranno in termini economici i cambiamenti climatici se le temperature aumenteranno tra i 2 e 4 gradi: circa 10 punti di PIL e un aumento delle diseguaglianze economiche. Ecco alcuni dati per settori specifici.

PESCA. Le popolazioni di pesci che amano il caldo sono già in espansione, mentre al contrario quelli che si riproducono meglio in acque più fredde sono in diminuzione. I pesci costieri potrebbero spostarsi di circa 70 km verso nord o in acque più profonde entro la metà di questo secolo. Nel 2030 si ipotizza che la perdita di produttività dello stock ittico per l’Italia si aggirerà attorno al 8-9% con una perdita stimata tra i 760 e 1.276 milioni di euro (secondo due distinti progetti europei, Sesame e Vectors). Anche l’acquacoltura risentirà dei cambiamenti climatici, essendo sviluppata negli ambienti ritenuti più vulnerabili, in particolare lungo le zone costiere e lagunari del Mar Adriatico.

AGRICOLTURA. Vari modelli di misurazione degli impatti, nonostante le incertezze, delineano per l’Europa centrale e del sud un generale deterioramento delle condizioni agro-climatiche sia per l’aumento dello stress idrico sia per la riduzione della stagione di crescita. Le colture cerealicole italiane, soprattutto frumento tenero e mais, saranno soggette a cali di rese superiori al 20% in varie zone della Penisola. Più difficile valutare le colture orticole, mentre vite e olivo «saranno caratterizzate da diminuzioni qualitative e quantitative delle produzioni e dal possibili spostamenti degli areali di produzione». Il calo del valore dei terreni agricoli nel sud Europa va dall’8 al 13% per ogni grado di aumento della temperatura (scenario A2 IPCC).

TURISMO. L’aumento della temperatura rende meno attrattive sia le località balneari sia le città d’arte così come mina la possibilità dell’innevamento invernale in molte località sciistiche che vanno sotto la cosiddetta «linea di affidabilità della neve» (lan): secondo l’Ocse, con l’attuale aumento di temperatura di 1 grado tutte le località sciistiche del Friuli Venezia Giulia sono sotto la lan, mentre quelle di Lombardia, Trentino e Piemonte lo sono rispettivamente per il 33%, 32% e 26%. Con un aumento di temperatura di 4°, solo il 18% delle località sciistiche dell’arco alpino italiano potranno continuare a dirsi tali. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici prevede una massiccia riduzione degli arrivi internazionali tra il 20 e il 30%.

DISSESTO IDROGEOLOGICO. Vari studi ci ricordano che l’Italia è il paese europeo più esposto al rischio alluvionale. In uno scenario di aumento di 2° prima del 2050 e di 3° al 2070 i costi diretti in termini di perdita attesa di capitale infrastrutturale si aggirano tra l’1 e i 2,3 miliardi di euro annui nel periodo 2021-2050 per lievitare tra l’1,5 e i 15,2 miliardi annui nel periodo 2071-2100 (cioè almeno 7 volte più dei danni sperimentati fino ad oggi). Senza contare i problemi che verranno creati dall’innalzamento del mare, visto che sono almeno un migliaio i km di costa esposti ad erosione e in arretramento. Secondo lo studio Peseta III (2018), le persone colpite saranno 72-90mila nel 2050 e tra le 198 e le 265mila nel 2100 con un aumento della temperatura di tra i 2 e i 3 gradi.

ENERGIA. In Italia si prevede un incremento della domanda di energia per alimentare i condizionatori, con picchi nei mesi estivi e rischio di black-out, e per l’aumento della domanda di energia dal settore agricolo per le pompe d’irrigazione, che però non sarà compensato dai risparmi per il minor bisogno di riscaldamento. Si prevede che i cambiamenti climatici renderanno più problematica la produzione di energia e la gestione dei flussi energetici, perché la scarsa disponibilità di risorse idriche per la produzione idroelettrica o per il raffreddamento delle centrali termoelettriche. Anche la rete elettrica sarà sottoposta a maggiore stress: quando aumenta la temperatura cresce la resistenza dei cavi e di conseguenza le perdite di trasmissione. La capacità di una rete si riduce dell’1% circa per ogni grado in più. Non va meglio per i cavi sotterranei: la loro capacità di trasporto cala all’aumentare delle temperature e al diminuire dell’umidità, e risulta quindi vulnerabile alla siccità.