Mercoledì 11 riprende la «supervisione» della trojka sulla Grecia, da Bruxelles, con l’obiettivo di evitare il precipizio di un Grexident, dopo le dichiarazioni di fuoco di Yanis Varoufakis del fine settimana. L’Eurogruppo, alla riunione di ieri, segna un punto, nel braccio di ferro che l’oppone ad Atene e avanza una pedina sullo scacchiere per piegarne la volontà politica e mettere all’angolo il progetto su cui si è fatta eleggere Syriza, cioè intraprendere un’altra rotta in Europa.

Varoufakis è costretto a indietreggiare, in difficoltà per spostare il negoziato dal piano tecnico-economico a quello politico. Nel fine settimana, il ministro delle finanze aveva riparlato dell’ipotesi di nuove elezioni e, soprattutto, di un referendum sul piano di salvataggio (che nel 2011 l’Ue aveva impedito al socialista Papandreu, facendo cadere il governo).

Varoufakis ha precisato che il referendum sarà sulle «riforme» e non sul Grexit, l’uscita dall’euro. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, cerca di mediare. Venerdì riceverà Tsipras su richiesta di quest’ultimo. Il primo ministro greco, la vigilia, sarà a Parigi per un incontro all’Ocse, l’organismo che ha collaborato con Atene per preparare il piano di riforme.

Ieri, nel giorno del lancio del Quantitative easing della Bce (più di mille miliardi, 60 al mese, per tutti meno che per la Grecia), all’Eurogruppo di Bruxelles è andato in onda un nuovo episodio del braccio di ferro che oppone i creditori ad Atene. Sul tavolo c’era la proposta in 7 punti di Yanis Varoufakis, un piano già respinto dall’Eurogruppo perché troppo debole.

Si allontana così la speranza di avere in cambio il versamento, in tempi brevi, dell’ultima tranche del programma di salvataggio – 7,2 miliardi -, indispensabile per far fronte alle scadenze dei rimborsi: dopo i 310 milioni pagati venerdì scorso all’Fmi, ci sono altre rate con l’istituzione di Washington, il 16 e il 20 di questo mese, per 1,5 miliardi complessivi. Per non parlare della tegola che scade a luglio, con la Bce, che finora, ha affermato Tsipras, ha messo un «nodo scorsoio» attorno al collo della Grecia negando la riapertura del rubinetto di finanziamento del sistema bancario attraverso l’accettazione di obbligazioni come garanzia.

Per il governo greco, la mossa di Draghi, che ha anche negato la possibilità di emettere debito a breve per rimandare la scadenza del rimborso di titoli analoghi (4 miliardi questo mese), è stata un modo per impedire di applicare le riforme promesse in campagna elettorale.

[do action=”quote” autore=”Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem”]«Abbiamo chiesto 20 riforme ma ne sono arrivate solo 7»[/do]

«Abbiamo chiesto 20 riforme – ha precisato il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem – ma ne sono arrivate solo 7». La lista non soddisfa Bruxelles: comprende l’istituzione di un consiglio indipendente dal governo sul budget; un miglioramento del metodo di preparazione del bilancio; solleciti migliori per gli arretrati al fisco; messa in vendita delle licenze di giochi on line; semplificazione dell’amministrazione; il molto controverso ingaggio di volontari, anche tra i turisti, per denunciare gli evasori, oltre alla vera pecora nera (al punto 6), cioè misure sociali a favore dei più poveri. Dijsselbloem ha «escluso» che la tranche di 7,2 miliardi venga versata «questo mese».

Così la Grecia è tenuta con la corda al collo: «Il confronto sulle riforme deve ripartire al più presto – ha insistito Dijsselbloem – stiamo perdendo troppo tempo, l’estensione del piano di aiuti è di soli 4 mesi e abbiamo già perso due settimane» e «la Grecia ha urgente bisogno di soldi, le casse sono quasi vuote» (a gennaio le entrare fiscali sono ancora diminuite del 17%).

Stessa versione a Berlino. Per il sottosegretario alle Finanze, Steffen Kampeter, la «precondizione» per versare la tranche è «la conclusione della discussione con la trojka» (il governo tedesco insiste sul termine odiato dai greci). Prima ci vuole il «parere positivo» di Bce, Ue e Fmi: «Non è più l’ora di presentare progetti – afferma Kampeter – ma di mettersi al lavoro, le settimane scorse avrebbero potuto essere utilizzate meglio».

Angela Merkel, da Tokyo, insiste sulle «due facce della medaglia» per mantenere la Grecia nell’euro: «solidarietà» da un lato e «determinazione a fare le riforme» dall’altro e «se la via è questa c’è ancora molta strada da fare».

Juncker ieri ha ricordato il prezzo dell’austerità pagato dai greci e ha messo in guardia gli stati dell’Eurozona: «tutti» devono capire la gravità della situazione greca, un Grexit sarebbe una «perdita di reputazione irreparabile» per l’euro. «Dobbiamo fare attenzione a che la situazione non continui a deteriorarsi in Grecia». Con Atene insiste sul fatto che se «il governo vuole spendere più soldi deve compensare con tagli o entrate supplementari». Ma ha aggiunto: «dopo luglio», cioè dopo la data di scadenza del rimborso alla Bce, dovremo «riflettere sul modo in cui i creditori internazionali devono comportarsi con i paesi che si trovano in una situazione economica critica».

Tsipras nel fine settimana ha avuto contatti anche con Hollande.

Ma la Francia è in difficoltà: martedì 10 all’Ecofin verrà esaminata la concessione di due anni di tempo in più fatta a Parigi dalla Commissione per il rientro nei parametri del 3% di deficit (fino al 2017), tra molti malumori di alcuni partner. A giugno, se i conti non miglioreranno, la Francia rischia pesanti sanzioni e praticamente una messa sotto tutela.

Pier Carlo Padoan ha criticato la Germania, per il fatto di «dimenticare di far parte di un sistema composto da 19 paesi, la Germania non ce la può fare ad andare avanti da sola».