«Giovanni se n’è andato, el Bocha se fué». Dice così il profilo facebook di Giovanni Miglioli. E dev’essere vero, anche se sembra impossibile che sul serio abbia chiuso gli occhi per sempre l’instancabile attivista per i diritti umani, fra gli ispiratori della Casa della Memoria di Roma, presidente dell’associazione ’Ponte della memoria’, inarrestabile organizzatore di iniziative e campagne in sostegno della sua Argentina dei diritti, amico di sempre – o, meglio, compañero – di Madres e di Abuelas de Plaza de Mayo. E di Hijos, l’associazione dei ragazzi argentini nata nel ’95 per rivendicare la lotta dei genitori desaparecidos e per ritrovare i figli rapiti dai militari. E di tanti giovani Giovanni è stato sempre riferimento e sostegno, curioso ed entusiasta, pronto a mettersi a disposizione senza paternalismi.

Era nato nel ’49 a Buenos Aires da una famiglia di immigrati italiani. Studente del Liceo Nacional, dove i militari argentini faranno strage, poi divenuto militante del Prt-Erp (il Partito rivoluzionario dei lavoratori), per il suo impegno contro la nascente dittatura era dovuto arrivare esule in Italia nel 1976. Anni dopo aveva ritrovato nel suo documento di espatrio la firma del Console Enrico Calamai, l’uomo che riuscì a mettere in salvo e a far espatriare centinaia di oppositori politici del regime dei militari: con lui ha stretto un rapporto umano intenso, ritrovato anni dopo, che lo ha accompagnato fino agli ultimi giorni. Da sempre, fino a oggi, la sua casa è stata un luogo di accoglienza per tutti, non solo argentini ed italiani, un luogo in cui fatalmente si finiva per discutere con passione della sinistra di ieri e di oggi, di quella argentina e di quella italiana. Discorsi in cui si annodavano fili troppo spesso ignorati dalla storiografia ufficiale.

Fra i suoi tanti suoi lavori, nel 2001 ha curato per la manifestolibri il volume «Desaparecidos: la sentenza italiana contro i militari argentini», testo fondamentale per ripercorrere le tappe del processo fino alla storica sentenza di condanna dei responsabili della scomparsa di cittadini italiani.

Professionista della grafica editoriale, ha messo il suo mestiere, come tutta la sua vita, al servizio dei diritti umani. Era un militante della memoria e se n’è andato venerdì scorso non prima di aver resistito a un altro 24 marzo, che per lui – argentino italiano – significava golpe e Fosse Ardeatine. Era un uomo generoso che proprio per questo sapeva chiedere a ciascuno di noi. E se Giovanni chiamava, non era possibile farsi indietro. Ci ha costretto ad essere migliori, per questo non smetteremo mai di essergli grati.

Oggi dalle 15 alle 17 l’ultimo saluto alla Casa della Memoria, a Roma. Non fiori, ma una donazione a Asociación Familiares de Desaparecidos. A Pia, che lo ha reso felice, alla figlia Luciana, al fratello Gustavo, alla sorella Alejandra, a Stefania Tuzi e a tutta l’associazione ’Ponte della memoria’, l’abbraccio del collettivo del manifesto.