Di rinvio in rinvio, la camera si prepara a mancare anche l’appuntamento del 29 maggio, pur fissato con solenne impegno in risposta al richiamo di Mattarella. La legge elettorale è una priorità solo nell’inseguirsi quotidiano delle dichiarazioni politiche. In realtà un accordo non si intravede e gli interessi dei partiti sono naturalmente contrapposti. L’interesse del più forte, il Pd, è quello di non fare niente e tenersi le due mezze leggi rimaste in piedi dopo le bocciature della Corte costituzionale del Porcellum prima e dell’Italicum poi.

SI STA AVVERANDO la previsione che la presidente Boldrini aveva fatto ai rappresentanti del comitato del no al referendum costituzionale che la settimana scorsa erano stati alla camera per consegnarle la petizione per una legge elettorale costituzionale: non è detto che la commissione affari costituzionali riesca a concludere i suoi lavori in tempo per passare la legge all’aula entro fine maggio. Anzi, un nuovo calendario messo a punto ieri sembra escluderlo. Perché Renzi da una parte attacca, genericamente, «il parlamento», perché non ha fatto passi in avanti sulla legge elettorale, «una vergogna», dall’altra compie tutte le mosse necessarie per determinare lo stallo. Prima l’intestardirsi su una proposta impraticabile (il Mattarellum), poi il falso movimento su una soluzione avanzata dai renziani ma smentita da Renzi due giorni dopo (il Provincellum), poi la soffiata sulla clamorosa disponibilità del leader il sistema tedesco, caduta senza conferme. Infine alla vigilia del pomeriggio in cui il presidente della commissione Mazziotti avrebbe dovuto presentare il testo base – un quadro astratto, vista la cornice – ecco il Pd chiedere una «pausa» di una settimana. Così Renzi domenica prossima, nel discorso dell’insediamento che terrà davanti alla nuova assemblea del partito, potrà entrare nei panni di chi, di fronte all’inerzia degli altri, deve necessariamente intervenire. Con una proposta che servirà a far passare altro tempo.

IL PRESIDENTE della commissione Mazziotti è costretto a inseguire il balletto renziano. Ieri ha azzardato una data, giovedì prossimo, per presentare un testo base, ma subito l’ha messa in forse. Vuole chiedere incontri bilaterali a tutti i partiti per sapere cosa deve scrivere, in quel testo. In parlamento la convinzione che Renzi porterà tutti alle urne con le due leggi in vigore è ormai diffusa. Tanto che ieri il presidente del senato Grasso ha sentito il dovere di replicare l’appello di Mattarella per «una legge elettorale compiuta» diversa dalle attuali che «non sono né omogenee né applicabili». Ma soprattutto la terza carica dello stato ha detto che questa legge «deve essere approvata da entrambe le camere». Perché i mesi passano, e se la camera dovesse alla fine riuscire a votare gli «aggiustamenti» (soglie, preferenze di genere e aumento dei collegi) il tempo per un esame pieno del testo da parte del senato sarebbe pressoché esaurito.

DOPPIA BEFFA, perché quei ritocchi riguardano quasi esclusivamente il sistema per eleggere i senatori. A quel punto potrebbe intervenire il governo per blindare al senato il testo della camera, chiedendo la fiducia. Impedendo così ai senatori di toccare palla. Peggio ancora sarebbe se la discussione alla camera si trascinasse fino alle soglie dell’autunno e il governo volesse intervenire con un decreto legge. Ipotesi fatta filtrare già qualche settimana fa dai renziani malgrado Costituzione, legge ordinaria (del 1988) e almeno un paio di sentenze della Corte costituzionale stabiliscano che in materia elettorale – e soprattutto nel cuore del meccanismo con il quale si scelgono i parlamentari – non si possa intervenire con decreto. Grasso ha previsto questa ipotesi solo come «ultima spiaggia, nel caso in cui si fosse veramente in un momento della fine della legislatura. Ma non sarebbe la soluzione giusta».
Intanto ieri durante l’assemblea dei comitati del no al referendum costituzionale, il costituzionalista Gaetano Azzariti ha chiesto ai partiti della sinistra di «inchiodare» Renzi alla disponibilità sul sistema tedesco. Ricevendo una risposta sostanzialmente positiva da Sinistra italiana, e sostanzialmente negativa da Rifondazione comunista e da Articolo 1-Mdp. Più preoccupate dalla soglia di sbarramento che dal premio di maggioranza. I bersaniani concentrano la loro battaglia contro i capilista bloccati. «Il sistema tedesco – ha detto il senatore Mdp Fornaro – richiederebbe adattamenti pesanti alla realtà italiana o una modifica costituzionale per rendere flessibile il numero dei seggi della camera».